ICI sul fotovoltaico: affidamento e buona fede
Difatti, l’orientamento di prassi, evolutosi nel tempo, in ordine alla qualificazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti fotovoltaiche è pervenuto, a mezzo della Circolare n. 36/E del 2013, ad un approdo unitario in riferimento sia alle problematiche di natura catastale sia alle problematiche di natura fiscale.
In particolare, con la menzionata Circolare n. 36/E del 2013, l’Amministrazione Finanziaria ha elaborato un criterio unitario ed oggettivo di individuazione dell’obbligo di iscrizione catastale degli impianti fotovoltaici e dei criteri di iscrizione catastale, definendo, inoltre, che le determinazioni di natura fiscale debbono essere assunte, in riferimento alla qualificazione degli impianti nella categoria dei beni mobili od immobili, in conseguenza della qualificazione catastale dell’impianto fotovoltaico.
Tuttavia, anteriormente alla emanazione della summenzionata Circolare n. 36/E del 2013, non era riscontrabile tale equivalenza, esposta in sede di prassi dell’Amministrazione Finanziaria, e, al contrario, si rileva la anteriore sussistenza di criteri di qualificazione degli impianti fotovoltaici, ai fini fiscali, differenti ed addirittura divergenti dalla qualificazione ai fini catastali dei medesimi impianti.
In tal senso, difatti, la stessa Circolare n. 36/E del 2013 afferma che "sotto il profilo fiscale, in più occasioni alcuni impianti fotovoltaici sono stati qualificati come beni mobili, in quanto caratterizzati dal requisito dell’amovibilità".
Si deve rammentare quanto affermato, nel corso degli anni, dall’Agenzia delle Entrate e, dapprima, con la Circolare del 19 luglio 2007, n. 46/E, p. 22: "si ritiene, infine, che l’impianto fotovoltaico situato su un terreno, non costituisce impianto infisso al suolo, in quanto normalmente i moduli che lo compongono (i pannelli solari) possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità".
Ulteriormente l’Agenzia delle Entrate ha preso posizione, rilevando la differente impostazione della prassi fiscale rispetto la prassi catastale, ed affermando la prevalenza ai fini fiscali del criterio interpretativo teso ad affermare la natura di bene mobile dell’impianto realizzato al suolo. In tal senso, con particolare incisività, la Circolare del 23 giugno 2010 n. 38/E, p. 9:
R: L’impianto fotovoltaico situato su un terreno non costituisce impianto infisso al suolo in quanto normalmente i moduli che lo compongono (i pannelli solari) possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità (cfr. circolare 19 luglio 2007, n. 46/E). Coerentemente a tale impostazione anche nella circolare n. 38 dell’11 aprile 2008, per qualificare la tipologia di impianti (mobiliari o immobiliari) che hanno diritto al beneficio del credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate (articolo 1, commi 271-279, della legge 27 dicembre 2006, n. 296) è stato precisato che sono agevolabili gli impianti diversi da quelli infissi al suolo, nonché i beni "stabilmente" e "definitivamente" incorporati al suolo, purché possano essere rimossi e utilizzati per le medesime finalità senza "antieconomici" interventi di adattamento". A parere della scrivente, pertanto, si è in presenza di beni immobili quando non è possibile separare il bene mobile dall’immobile (terreno o fabbricato) senza alterare la funzionalità dello stesso".
In forza, dunque, dei due menzionati documenti di prassi, si può affermare, che l’Agenzia delle Entrate, sino alla data del dicembre 2013, ha considerato, ai fini fiscali, gli impianti fotovoltaici realizzati al suolo quali beni mobili, ritenendo irrilevante, ai fini della qualificazione fiscale, la iscrivibilità in catasto degli stessi impianti.
La posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate, dunque, rendeva certo l’affidamento dei contribuenti nei loro comportamenti per l’esecuzione delle norme fiscali - sia per le imposte dirette ed indirette, sia, in considerazione della intrinseca correlazione e della unitarietà della nozione ai fini fiscali, per i tributi locali - determinandosi l’affidamento del contribuente nella gestione degli impianti realizzati al suolo come beni mobili.
L’affidamento del contribuente, reso indubbio dai menzionati documenti di prassi, determinava l’unanime convincimento della insussistenza di tributi locali (I.C.I. prima ed I.M.U. poi) sull’impianto fotovoltaico per carenza del presupposto impositivo in capo ad un bene mobile.
Il Collegio Potentino, chiamato a valutare l’affidamento del contribuente in riferimento ai tributi locali richiesti dal Comune per annualità precedenti alla pubblicazione della Circolare n. 37/E del 2013, ha risolto il conflitto in favore della tutela dell’affidamento. Afferma la Commissione Tributaria che il principio di affidamento del contribuente rappresenta un corollario dei generali principio di collaborazione e buona fede enunciati dall’art. 10 della L. 212/2000. Difatti, l’art. 10 della L. 212/2000 dispone che "i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede".
Intrinsecamente collegato alla nozione di buona fede è il concetto che si esprime col termine "affidamento", con il quale in generale si fa riferimento allo stato di fiducia posto da taluno sull’apparenza di situazioni differenti dalla loro reale sostanza.
L’affidamento, in ambito tributario, si sostanzia, in particolare, in una situazione generata dalla conformità del proprio comportamento ad indicazioni ricevute dalla stessa Amministrazione finanziaria ovvero determinata da ritardi, omissioni o errori dell’Amministrazione stessa e costituisce espressione di fiducia nel comportamento di quest’ultima. Precisamente, si ha affidamento da qualificarsi come legittimo quando un’attività dell’Amministrazione finanziaria sia idonea a determinare una situazione di apparente legittimità. Tutela dell’affidamento legittimo significa, in sostanza, l’obbligo per l’Amministrazione di non contraddirsi nel futuro. Si può, quindi, concludere la disamina dei menzionati principi di buona fede e di affidamento, affermando come la buona fede oggettiva (attuazione dei più generali principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione) rappresenti un obbligo dell’Amministrazione finanziaria a non contraddire proprie precedenti interpretazioni mentre l’affidamento rappresenta la posizione di tutela del contribuente che intende mantenere ferma la legittimità di un comportamento posto in essere in attuazione di indicazioni dell’Amministrazione finanziaria. A questo proposito, si tratta di stabilire se siano o meno legittimi i provvedimenti d’imposizione fondati su revirement interpretativi adottati nei confronti di contribuenti che in buona fede si sono uniformati alla precedente interpretazione data della stessa Amministrazione. A riguardo, la giurisprudenza, con orientamento ormai consolidato, in riferimento a fattispecie concrete relative a singoli contribuenti (Cass. n. 18218/2007, n. 21513/2006 e n. 17576/2002) afferma l’inesigibilità del tributo. In tal senso, difatti, l’affidamento è attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A (art. 97 Cost.), di tutela dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.) nonché del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.). Per l’effetto, la tutela dell’affidamento risulta prevalente (essendo i relativi principi preminenti) sulla emanazione dell’atto impositivo che sarebbe unicamente finalizzata all’attuazione formale della norma (art. 23 Cost.) che, nel caso di specie, risulta recessiva dinanzi alla tutela di interessi di rango eguale e preminente. La tutela esplicitata dall’art. 10 della L. 212/2000 in riferimento alle sanzioni è unicamente esplicativa e non contempla l’intero impatto delle ricadute del principio di affidamento che possono esplicare effetto anche in riferimento alle imposte.
Tale tutela è ammissibile qualora non sussistano dubbi sull’interpretazione fattuale del presupposto alla base della norma impositiva e sulla chiara ed univoca individuazione del medesimo presupposto, nel periodo sorretto dall’interpretazione divergente, nella direzione della non suscettibilità di imposizione. Di tale principio rende chiara applicazione il Collegio Potentino che afferma la illegittimità dell’atto impositivo per violazione del principio di affidamento e, conseguentemente, statuisce la non debenza delle imposte richieste dal Comune.
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