Il mobbing: conoscerlo, riconoscerlo e contrastarlo

Chi ha utilizzato per primo il termine mobbing?
L’etologo Konrad Lorenz, nel 1958, introdusse il termine mobbing per descrivere il comportamento animale volto a minare e intimidire il rivale. Il termine deriva dall’inglese “to mob”: attaccare, assalire, accalcarsi intorno a qualcosa o qualcuno.
Heinz Leymann, psicologo, psichiatra e pioniere a livello mondiale del fenomeno del mobbing nel mondo lavorativo, ha visto una somiglianza fra gli studi di Lorenz e la psicologia umana e ha aperto una nuova direzione di ricerca nella Psicologia del Lavoro.
Cosa s’intende per mobbing?
Nel 1984, Heinz Leymann ha indicato le condizioni che non possono mancare per parlare di mobbing, cioè del danneggiamento intenzionale di un individuo. È un’aggressione, protratta nel tempo, che tende ad aumentare d’intensità, associata alla percezione dell’impossibilità di difendersi. L’intenzione dell’aggressore è di vessare la vittima per estrometterla dalla realtà sociale e lavorativa e portarla al licenziamento.
Secondo lo psicologo Harald Ege (2013), “Con la parola mobbing si intende una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori. La vittima di queste vere e proprie persecuzioni si vede emarginata, calunniata, criticata: gli vengono affidati compiti dequalificanti, o viene spostata da un ufficio all’altro, o viene sistematicamente messa in ridicolo di fronte a clienti o superiori. Nei casi più gravi si arriva anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali. Lo scopo di tali comportamenti può essere vario, ma sempre distruttivo: eliminare una persona divenuta in qualche modo “scomoda”, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento”
Ege, inoltre, lo circoscrive al lavoro, con una frequenza quotidiana, settimanale o mensile per almeno sei mesi.
Aggiungiamo che il mobbing differisce dalla conflittualità “fisiologica” che ci può essere in ogni organizzazione in un clima di chiarezza e di obiettivi espliciti. Il mobbing è una forma di abuso e di violenza che “implica sempre una strategia attuata ma non dichiarata, che inizia nella maggior parte dei casi con un cambiamento del “clima” lavorativo per poi sfociare in vere e proprie azioni vessatorie nei confronti del lavoratore.” (INAIL, 2006)
Cos'è il mobbing verticale e orizzontale?
- Verticale se è messo in atto da un superiore, orizzontale quando è compiuto dai colleghi.
- Il mobbing verticale si basa su atti persecutori reiterati da parte del datore di lavoro, di superiori. In questo caso si usa anche il termine “bossing”, perché chi pratica il mobbing abusa della propria posizione e utilizza in modo illecito e dannoso i poteri connessi alla funzione cui è preposto.
- Il mobbing orizzontale, dato dai comportamenti persecutori dei colleghi di lavoro, può manifestarsi con calunnie, pettegolezzi, dispetti, isolamento della vittima. È paragonabile al bullismo scolastico.
Possono esserci intenzioni diverse nel mobbing?
Secondo Dina Guglielmi (2015), esistono tre tipologie d’intenzioni.
- Mobbing emotivo, generato da un conflitto interpersonale non adeguatamente gestito, che degenera in un vero e proprio mobbing
- Mobbing predatorio, senza la presenza esplicita di un conflitto
- Mobbing strategico: azioni vessatorie pianificate intenzionalmente dalla direzione aziendale, per estromettere una o più persone dall’ambiente lavorativo.
Che cos’è il demansionamento da mobbing?
Una delle caratteristiche del mobbing strategico è il demansionamento, ben descritto nel film Mi piace lavorare (2003) di Francesca Comencini con Nicoletta Braschi. Il film racconta la storia di Anna, una giovane donna separata che vive con la figlia e ha il padre malato in una casa di riposo, che lei va spesso a trovare. Con il suo stipendio modesto mantiene la famiglia da sola. Lavora in una società come segretaria capocontabile con passione e questo desta invidia fra le colleghe. Dopo che l’azienda è stata assorbita da una multinazionale, Anna subisce un progressivo mobbing. È rimossa dal suo ruolo e costretta a svolgere mansioni sempre inferiori: da segretaria di terzo livello a semplice addetta alle fotocopie, per essere trasferita, infine, nel magazzino insieme agli operai. Abbandonata anche dalle colleghe e dai colleghi, Anna cade in una profonda depressione, ma reagisce grazie all'amore per la figlia. Col supporto del Sindacato, fa causa e la vince. Il film si chiude con Anna che va in viaggio con la figlia, ma anche con i mille timori che la assalgono al pensiero del nuovo lavoro che la attenderà al ritorno. L’esperienza di mobbing ha lasciato una traccia e l’ansia anticipatoria ne è un segno.
Come in altri casi di mobbing verticale, finalizzato a ridurre il numero delle persone impiegate, è stata scelta una preda socialmente debole come Anna. Non importa che sia competente e motivata, ciò che conta è che sia facilmente annientabile.
Il mobbing è considerato una malattia?
Nel 2002 l’OMS ha definito il mobbing un problema per la salute mondiale con conseguenze dannose (ISPEL/ICP, 2003).
“In Italia, i lavoratori mobbizzati sono, secondo il Censis, più di un milione; tra questi il 48% ha tra i 41 e i 50 anni, il 45% sono uomini ed il 55% donne, mentre si aggira intorno ai 5 milioni il numero di persone coinvolte, in qualità di amici, familiari o colleghi di lavoro.
Il mobbing, inizialmente diffuso nel lavoro privato, è emerso anche nel pubblico impiego: infatti, un’elevata percentuale dei casi di mobbing segnalati in Italia si riferiscono alle Pubbliche Amministrazioni.” (Inail 2006)
La condizione di mobbizzato, proprio perché ingenera uno stress prolungato e mina i sensi di sicurezza, di autostima, può portare a un danno psichico o psicofisico per cui, se dimostrato, consente una regolare richiesta di risarcimento per invalidità professionale. In Italia con l'ordinanza n. 8948/2020, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che la malattia che deriva da mobbing rientra nell'alveo di quelle che sono le malattie professionali.
Quali sono le conseguenze psico-fisiche del mobbing?
Si possono manifestare effetti sulla salute di gravità diversa, sia per l’entità dello stimolo, della sua intensità e durata, sia per i fattori soggettivi, fra cui la maggiore sensibilità alle azioni di mobbing e le risorse per reagire. Fra i sintomi più comuni (ISPEL/ICP. 2003)) ci sono quelli:
- Psicopatologici: alterazioni dell’umore, apatia, flashback, incubi ricorrenti, insicurezza, insonnia, iperallerta, irritabilità, melanconia, pensiero intrusivi, perdita d’iniziativa, problemi di concentrazione, reazioni d’ansia, reazioni di evitamento, reazioni fobiche, umore depresso.
- Psicosomatici: attacchi d’asma, cefalea, crisi anginose, crisi emicraniche, dermatite, disturbi dell’equilibrio, dolori articolari e muscolari, gastralgie, ipertensione arteriosa, palpitazioni, perdita di capelli, tachicardia, ulcere gastroduodenali.
- Comportamentali: aumento del consumo alcoolico e di farmaci, aumento del fumo, disfunzioni sessuali, disturbi dell’alimentazione, isolamento sociale, reazioni auto ed etero aggressive.
“La depressione e il disturbo d’ansia sono le diagnosi formulate più comunemente, anche se sono frequenti altri inquadramenti diagnostici e precisamente il disturbo dell’adattamento (DA) e il disturbo post-traumatico da stress (DPTS); infatti queste ultime due sindromi rappresentano più tipicamente la risposta ad eventi esterni.” (ISPEL/ICP. 2003))
Chiaramente questi sintomi sono causa anche di ritiro dalla vita sociale, amicale e di possibili problematiche familiari: distacco dalla condivisione, irritabilità, se non violenza. Sono anche causa di costi, oltre che umani, economici per l’intera collettività, sia per le spese mediche, sia per i frequenti prepensionamenti o conseguente disoccupazione.
Esiste una tutela giuridica del lavoratore?
In Italia, a differenza di altri Paesi Europei, quali la Germania e la Svezia, non c’è una legge specifica sul mobbing, per cui i casi, che arrivano in tribunale, sono trattati facendo riferimento alle leggi sulla discriminazione o ad altri articoli, come quelli sul danno biologico, morale o sull'obbligo del datore di lavoro a garantire l’integrità psicofisica dei dipendenti (Decreto Legislativo n. 81/2008).
Può essere quantificato il danno da mobbing?
Esistono strumenti, come Il Metodo Ege (2013), per la determinazione del Mobbing e la quantificazione del “Danno da Mobbing”, che consentono al professionista competente di riconoscerne la presenza in una vicenda lavorativa e poi calcolare il grado di lesione da essa derivante. In questo modo il mobbizzato è in grado di fronte al Giudice, una volta dimostrato di essere stato vittima di mobbing, di monetizzare il danno subito e chiedere il risarcimento.
Cosa fare per il mobbing?
Per la prevenzione primaria è necessaria un’azione concertata, sempre più incisiva, da parte dei soggetti preposti al contrasto al mobbing (ISPEL 2003). In particolare, oltre a Linee Guide, Codici di comportamento e clausole specifiche nei Contratti di lavoro, occorrono Informazione e formazione sul mobbing e le sue conseguenze, rivolte a lavoratori, dirigenti, così come campagne di sensibilizzazione e politiche antimobbing.
Per la prevenzione secondaria è essenziale che il mobbizzato si rivolga a professionisti competenti per reagire al meglio all’esperienza e prendere le necessarie iniziative per contrastare il mobbing.
Per la prevenzione terziaria, quando la persona ha già subito il mobbing e ha avuto dei sintomi patologici conseguenti, è opportuno un percorso con un singolo professionista o in gruppo, che consenta di rielaborare l’esperienza e ritrovare l’equilibrio.
Ogni intervento preventivo sarà tanto più efficace quanto più attuato tempestivamente. Per questo motivo è essenziale che sia diffusa la sensibilizzazione culturale sul mobbing, affinché ci siano sempre più persone capaci di riconoscerlo, primo passo per contrastarlo.
Bibliografia e Sitografia
Depolo, M. (Ed.). (2003). Mobbing: quando la prevenzione è intervento: aspetti giuridici e psicosociali del fenomeno. Milano: Franco Angeli.
Ege, H. (2013). Mobbing. Conoscerlo per vincerlo. Milano: FrancoAngeli.
Guglielmi D., ( 2015). Mobbing: Quando il lavoro ci fa soffrire. Bologna: Il Mulino
INAIL Comitato Paritetico sul fenomeno del mobbing. (2006) Parliamo di Mobbing. Milano: Tipografia INAIL. Reperito su https://www.inail.it/cs/internet/docs/pubbl-alg-parliamo-di-mobbing.pdf.
ISPEL/ICP (2003) Protecting Workers’ Health Series B° 4: Violenza Psicologica sul lavoro http://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/42649/9241590521_ita.pdf;jsessionid=B678BB2C74E1F4FA291A1F2261332842?sequence=2.
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