Frustrazione e Problem Solving
L’abilità del problem solving
Nella nostra società un’abilità sempre più necessaria è il problem solving, una delle dieci life skills (Chiappi F, 2021): le “abilità per un comportamento adattivo e positivo che consente agli individui di trattare efficacemente con le esigenze e le sfide di vita quotidiana” (OMS).
È indicata anche come una delle ventidue soft skills: le competenze relazionali e gestionali, necessarie nel mondo del lavoro per ottenere successi e mettersi efficacemente in relazione con se stessi, gli altri e il lavoro (Chiappi F. 2021).
Esistono vari metodi per promuovere la padronanza del problem solving a scuola e nell’ambiente di lavoro. Molti di loro si basano sullo sviluppo del pensiero laterale, sulla capacità di cercare le alternative per soluzioni efficaci, spesso “intuendo” vie diverse da quelle abituali (Watzlawick P., et alt. 1978).
Abbiamo un’ampia letteratura anche sui rischi di quando non si riesce ripetutamente a raggiungere qualcosa che per noi rappresenta un bisogno, un desiderio vitale. Si tratti di un progetto (un’attività da libero professionista, un’impresa, un lavoro a tempo indeterminato, ecc.), un oggetto (una casa di proprietà, un’auto nuova, ecc.) o il superamento di un disagio relazionale, di un conflitto in uno o più ambienti di vita: il gruppo classe, il lavoro, il rapporto con la/il partner, ecc.
Quando l’impossibilità a raggiungere dei nostri obiettivi è legata a fattori esterni, rimane un margine di soluzione limitato o obbligato. Più numerose sono le possibilità, quando l’arresto di fronte all’ostacolo dipende da una mancanza di abilità, a condizione, però, che ci sia la possibilità di un apprendimento.
La trappola della frustrazione
Uno dei rischi da mancata padronanza di un’abilità, qual è il problem solving, è appunto la frustrazione, con i relativi meccanismi difensivi inconsci e i conseguenti comportamenti disfunzionali, che inevitabilmente, oltre a farci perdere di vista i bisogni che ci muovono e gli obiettivi che vogliamo raggiungere, possono indurre stress, abbattimento, immobilismo, auto svalutazione, frustrazione e possibile aggressività (Dollard G. et coll. 1973).
La frustrazione, quale stato di delusione e insoddisfazione che s’instaura quando i nostri bisogni e obiettivi non sono soddisfatti come e quando vorremmo, può essere indotta sia da fattori esterni, effettivamente insuperabili o che ci appaiono tali, sia da fattori soggettivi, fra cui il non sapere come porsi per affrontare un ostacolo.
Un esempio di frustrazione e di meccanismo difensivo è nella favola “la volpe e l’uva” di Esopo, in cui una volpe affamata (bisogno) per sfamarsi (obiettivo) si mette in cerca e finalmente vede sulla pergola di una casa abbandonata dell’uva (oggetto) dai chicchi lucenti che le fanno venire l’acquolina in bocca (desiderio). Salta, salta, ma non riesce a giungere all’uva. A un tratto, andandosene, afferma: “Tanto l’uva acerba non mi piace!”. Così dicendo, la volpe, che prima aveva provato l’acquolina in bocca alla vista dei chicchi dorati, di fatto, falsifica la realtà e nega il suo desiderio.
Preda sempre della frustrazione, avrebbe potuto reagire anche con altri meccanismi difensivi (Freud A., 2012): piangendosi addosso, incolpando il contadino per aver fatto una pergola tanto alta per lei, prendendo a sassate l’uva, ostinandosi a saltare, negando il suo bisogno di mangiare, andando a occuparsi di “qualcosa di più importante”. Sempre, però, senza risolvere il problema e soddisfare il bisogno di sfamarsi.
Come uscire dalla frustrazione?
Riconoscendo la frustrazione e i possibili meccanismi difensivi, ma soprattutto attivando un modo consapevole di porsi di fronte ai propri obiettivi e difficoltà, quello che appunto definiamo come abilità di problem solving.
Riprendendo, come metafora, l’esempio della favola di Esopo, possiamo dire che la volpe, per riuscire a risolvere la sua difficoltà, innanzitutto, dovrebbe riconoscere che l’impossibilità a raggiungere l’uva non è una sua “colpa”.
Dovrebbe passare, quindi, a definire la sua difficoltà oggettiva in quella determinata situazione: la pergola è troppo alta per lei. Un dato di realtà, non un insuccesso, con cui dover fare i conti, assumendo quell’atteggiamento che l’OMS definisce come “comportamento adattivo”.
Dopo di che, se volesse provare a raggiungere l’uva, dovrebbe individuare una soluzione possibile: qualche oggetto (risorsa materiale) per arrivare alla pergola, ad esempio spostando col musetto e le zampe della paglia e poi saltandoci sopra.
Se non trovasse niente da accumulare, potrebbe cercare aiuto, ad esempio, chiamando i suoi fratellini (risorsa relazionale), per farli arrampicare su di lei e provare così a strappare i chicchi d’uva. In questo caso il problem solving diventerebbe anche un’esperienza collaborativa. In entrambi i casi troverebbe soluzioni strategiche e innovative rispetto al suo abituale modo di procurarsi il cibo.
Se venissero meno anche questi tipi di risorse, potrebbe riflettere sul fatto che è vero che l’uva le piace così da averle fatto venire l’acquolina in bocca, ma che lei era andata in cerca di cibo perché aveva fame e che, a questo punto, il suo obiettivo non è l’uva, ma piuttosto sfamarsi (ristrutturazione). Grazie al riportare l’attenzione sul bisogno prioritario, potrebbe, anche se con un po’ di dispiacere, andare verso la ricerca di altro cibo, come le mele di un albero vicino, dai rami così carichi che sfiorano la terra (cambio di oggetto).
La difficoltà nel problem solving
Nel problem solving la ricerca di risorse materiali e relazionali è più facile del cambio di oggetto, che richiede la capacità di “ritirare le energie investite”, rincentrarsi sul bisogno, conseguente obiettivo e possibile altro oggetto.
Questo vale, ad esempio, per la persona che, dopo la fine di una storia, deve, anche se con sofferenza, rendersi conto che per amare ed essere amato/a ha bisogno di non “fissarsi” sull’avere l’altra o l’altro a tutti i costi, ma piuttosto cercare un’altra persona.
È altrettanto difficile, quanto necessario, che faccia dei cambiamenti chi ha sempre gestito una sua attività, ma che al momento non è più competitiva sul mercato. Inizialmente può cercare una soluzione con l’innovazione tecnologica o fare una fusione con un’altra società forte sul mercato, ma quando queste due strategie non sono possibili, è necessario chiudere, anche se con dispiacere, un’azienda oramai non più produttiva e trovare un’altra forma d’impresa o d’investimento che garantisca l’autonomia economica.
Bibliografia
Chiappi F. (17/12/2021). Le soft skills: competenze per l’occupazione. https://www.prontoprofessionista.it/articoli/le-soft-skills-competenze-per-l’occupazione.html
Chiappi F. (15/11/2021). Life skills e promozione della salute psicofisica. https://www.prontoiprofessioista.it/articoli/life-skills-e-promozione-della-salute-psicofisica.html.
Dollard G. et coll. (2011). Frustrazione e Aggressività. Firenze: Giunti Editore.
Freud A. (2012). L’io e I meccanismi di difesa. Firenze: Giunti Editore.
Articolo del: