Usura e differenziale di mora
Con il presente scritto, si rappresentano le argomentazioni giuridiche che dovrebbero indurre a considerare nel calcolo del TEG anche il differenziale di mora.
Il contributo dello scrivente non pretende di essere risolutivo ma pone problematiche che non possono essere superate con prese di posizione dogmatiche come spesso accade. Prese di posizione che non tengono conto del fatto che dietro ad ogni vertenza spesso non vi sono solo gli interessi economici ma le vite di persone che, spesso, vengono sacrificate in nome di valutazioni che non hanno nulla di giuridico.
Partiamo dal dato letterale dell’art. 644, I comma, c.p. come riformato dalla l. 108 del 1996: "Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per se o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilita', interessi o altri vantaggi usurari è punito...";
D’altra parte l’art. 1815, II comma, c.c., come riformato dall’art. 4, l. 108 del 1996 statuisce: "Se sono convenuti interessi usurari, la clausola e' nulla e non sono dovuti interessi".
Abbiamo, pertanto, due disposizioni che infliggono una sanzione (nel primo caso, penale e, nel secondo, caso civile) a chiunque, a qualsivoglia titolo pattuisca (non è necessario che siano corrisposti) interessi o altri vantaggi usurari.
Partendo da questo dato letterale, si sono "scontrate" diverse interpretazioni giurisprudenziali; interpretazioni che, spesso, non sono dettate da ragionamenti logico giuridici ma piuttosto da valutazioni di carattere politico - sociale ed economiche che non dovrebbero trovare albergo nel processo.
Se così non fosse, non si comprende come si possa affermare che l’art. 644 c.p. non annoveri fra gli interessi da tenere in considerazione, ai fini di valutare il superamento della soglia, anche il differenziale di mora.
La risposta è (da parte di chi difende le banche) duplice: si tratta di interessi pattuiti ma non corrisposti oppure gli interessi corrispettivi e quelli moratori sono due entità differenti, pertanto, non possono essere considerati nello stesso calcolo.
Dette argomentazioni sono entrambe sbagliate:
l’art. 644 c.p. parla di interessi pattuiti a qualsivoglia titolo, pertanto, è irrilevante che siano stati corrisposti, o meno, e, poi, la giurisprudenza e la dottrina, da sempre, distinguono fra usura contrattuale (allorquando siano pattuiti interessi usurari) ed usura sopravvenuta o concreta (allorquando, sebbene non pattuiti in contratto, vengano, in concreto, nel corso del rapporto contrattuale applicati interessi che superano la soglia); l’art. 644 c.p. non distingue, in base alla funzione economica, fra interessi di mora ed interessi corrispettivi, pertanto, non esiste una ragione giuridica per farlo, soprattutto, allorquando, come si è evidenziato sopra, la banca usi applicarli insieme. Si consideri che un’interpretazione in questo senso sarebbe contraria alla legge che parla di farsi promettere, sotto qualsiasi forma, interessi usurari.
Lo scrivente condivide l’idea che non tutto vada sommato al tasso corrispettivo bensì solo tutti quegli oneri, strettamente, connessi all’erogazione del danaro.
Sul punto, si cita, fra le tante: "...La disposizione di cui all'articolo 644 c.p. prevede che nella determinazione del tasso di interesse usurario debba tenersi conto di tutte le spese collegate alla erogazione del credito, per cui non vi sono dubbi che il costo della polizza assicurativa sia connesso all'erogazione del credito qualora la stipulazione della polizza sia contestuale alla erogazione del finanziamento, con la precisazione che, a tal fine, non ha rilievo la circostanza che la polizza venga contratta per autonoma scelta del soggetto finanziato, in quanto il dettato normativo non fa alcuna distinzione tra l'ipotesi in cui la polizza si obbligatoria è quella in cui sia, invece, facoltativa; si deve, poi, ricordare che l'interpretazione dell'articolo 644 citato prescinde dalle istruzioni emanate dalla Banca d'Italia, le quali, non avendo natura di fonti normative, non sono vincolanti per l'autorità giurisdizionale..." (cfr. Corte d’appello di Milano 14.03.2014, in ilcaso.it, Giurisprudenza, 10220).
Per quanto riguarda il differenziale di mora, è sufficiente far proprio lo stesso ragionamento che la giurisprudenza di merito fa, in tema di commissione per estinzione anticipata del mutuo, laddove si legge: "(...) ai fini della verifica dell’usurarietà del tasso convenuto nel contratto di mutuo deve tenersi conto non solo del tasso di interessi convenuto ma anche di tutti gli altri costi previsti in contratto, sia quelli certi che quelli eventuali quali possono essere gli interessi moratori ... e la commissione per estinzione anticipata. Per quanto attiene poi a quest’ultima commissione deve rilevarsi che, sebbene sia determinata in misura percentuale sul capitale residuo, ai fini dell’accertamento dell’usurarietà del tasso il calcolo deve essere operato con riferimento al capitale concesso a mutuo dovendosi aver riguardo al momento in cui le condizioni contrattuali vengono pattuite considerato anche che in ipotesi ben può accadere che l’estinzione anticipata venga richiesta a distanza di qualche giorno dalla conclusione del contratto" (cfr. Tribunale di Bari Ord. resa in data 12.12.2014, conforme a Tribunale di Avellino, Ord. resa in data 28.09.2015 e dallo stesso Tribunale di Bari Ord. resa in data 19.10.2015).
Il sopraddetto principio è stato affermato, precedentemente dal Tribunale di Pescara, in forma Collegiale che, con Ord. del 28.11.2014, aveva statuito che:
non solo gli interessi convenzionali o moratori debbono sottostare al vaglio della normativa anti-usura, ma anche qualsiasi altro costo (escluse imposte e tasse) connesso al finanziamento che il cliente ha promesso di pagare e quindi anche il costo pattuito per l’estinzione anticipata del finanziamento; poiché la legge punisce anche la sola promessa di pagare costi usurari, è sufficiente la semplice stipula della clausola di estinzione anticipata senza necessità che il cliente chieda detta estinzione e quindi senza necessità che ne paghi il costo; trattandosi di promessa usuraria, è sufficiente la sola potenzialità che il costo usurario si verifichi sulla scorta delle condizioni contrattuali: pertanto è lecito calcolare il TAEG del finanziamento nella ipotesi che il cliente voglia estinguerlo già alla scadenza della prima rata di preammortamento, per verificare se il costo da pagare è usurario.
Ne consegue che, seguendo il sopraddetto ragionamento, si può affermare che anche il differenziale di mora dev’essere conteggiato ai fini del calcolo del tasso da raffrontare al tasso soglia al fine di verificare l’usurarietà, o meno, del tasso applicato concretamente allo specifico contratto.
D’altra parte, a prescindere dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, un’interpretazione del genere è conforme ai principi costituzionali ed ancor prima, alle ragioni che hanno indotto il legislatore a modificare sia l’art. 644 c.p. sia l’art. 1815 c.c.
L'articolo 1815, comma 2, c.c. esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie ed, a seguito della revisione legislativa operata dall'articolo 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108 e dalla legge 28 febbraio 2001, n. 24 - di conversione del decreto legge 29 dicembre 2000, n. 394 -, esso prevede la conversione forzosa del mutuo usurario in mutuo gratuito, in ossequio all'esigenza di maggiore tutela del debitore e ad una visione unitaria della fattispecie, connotata dall'abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore del limite oggettivo costituito dalla soglia di cui all'articolo 2, comma 4, della citata legge n. 108 del 1996 (tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, relativa alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà).
Detta interpretazione è stata, poi, fatta propria dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ormai nota (e commentata da molti nei modi più disparati) sentenza n. 350 del 2013.
Lo scrivente, che non è affatto un dottrinario, preferisce affidarsi al testo letterale della sentenza (e non alle massime redazionali) laddove, nel corpo della motivazione, si legge: "La stessa censura (sub b), invece, è fondata in relazione al tasso usurario perché dalla trascrizione dell'atto di appello risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte cost. 25 febbraio 2002 n. 29: "il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - l'assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori"; Cass., n. 5324/2003)".
Come si diceva sopra, in molti hanno commentato la suddetta sentenza ma, a parere di chi scrive, se si legge il testo della decisione ed il caso in cui la Corte di Cassazione ha espresso i principi sopra menzionati si deve concludere che nel calcolo del tasso da confrontare con quello soglia si debba considerare anche la "maggiorazione di (...) punti a titolo di mora" (per usare le parole del relatore della suddetta decisione).
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