Nullità del contratto di mutuo per falsità del TAEG
Recentemente, mi è capitato di leggere una sentenza del Tribunale di Savona, Dott.ssa Tabacchi (la n. 32 del 2019) che mi lascia molto perplesso in quanto ha affermato due principi che, a parere dello Scrivente, sono erronei.
Il Giudice afferma, difatti, che:
• un contratto di mutuo, nel quale è indicato un TAEG, nel cui calcolo non è considerato il costo di una polizza assicurativa di circa € 16.000,00, non è nullo e, pertanto, non si applicherebbe a detto contratto di mutuo la sanzione civile di cui all’art. 117 T.U.B.;
• sebbene il contratto di mutuo sia stipulato fra un consumatore e la banca, non si applicherebbe l’art. 125 bis TUB per motivi che non sono neppure spiegati nella motivazione.
Questa decisione dà lo spinto per analizzare due argomenti molto interessanti, sui quali, sarebbe opportuno fare un po’ di chiarezza.
1. Sulle conseguenze della falsità del TAEG
Quanto al primo aspetto, la decisione è sbagliata perché se accogliamo quest’interpretazione della disposizione, le banche potrebbero scrivere quello che voglio, nel contratto di mutuo (anche che il TAEG è pari a 0), senza essere passibili di alcuna sanzione.
In quest’ipotesi, quindi, si vanificherebbe la funzione dell’art. 117 T.U.B. che sanziona tutti quei comportamenti atti a rendere vana la certezza che discende dalla forma scritta.
Non è un caso che l’art. 117 T.U.B. imponga la redazione del contratto mediante forma scritta ed il fatto che la banca debba consegnare un originale del contratto, sottoscritto, al cliente.
Non è neppure un caso che subito dopo aver imposto la forma scritta ad substanziam, imponga che l’importo delle commissioni e i tassi di interesse debbano essere specificatamente indicati nel contratto.
Il sistema che il legislatore ha voluto creare, a seguito delle note riforme che si sono susseguite in materia di trasparenza bancaria, è un sistema normativo rivolto a tutelare, nel modo più completo, il cliente di modo da evitare incertezza sul contenuto delle pattuizioni, soprattutto, quelle che contengono oneri (siano essi interessi, costi o commissioni).
In base al sistema normativo creato:
• prima, il legislatore ha imposto il requisito della forma;
• poi, ha imposto il contenuto: indicazione specifica del tasso di interesse e degli altri oneri.
Se si legge con un minimo di coerenza quanto ha scritto il legislatore, non si può che affermare che i tassi, gli oneri, i costi e le commissioni non solo debbono essere indicati, ma devono essere indicati in maniera corretta, ossia essere quelli, poi, applicati concretamente.
Affermare che tali voci debbano essere indicate, ma che non è necessario che siano quelle effettivamente applicate, è un modo come un altro per dire che, sul contratto, ci si può scrivere tutto quello che si vuole (basta che ci sia scritto qualcosa).
Francamente, tale affermazione mi pare oltre modo illogica e contraria al diritto.
Non avrei mai pensato di dover spiegare (ma evidentemente mi sbagliavo, visto quanto scritto in questa sentenza) che se una disposizione recita: “…I contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora…” significa che il tasso, i prezzi e le condizioni devono essere quelle, poi, applicate.
A quanto sopra, si aggiunga che il TAEG non è altro che il tasso che riassume il costo globale del contratto; esso è costituito, in termini percentuali e su base annua, dalla somma di tutti i costi e remunerazioni.
La sua falsità costituisce una violazione dell’art. 117 T.U.B. in quanto esso è un tasso di interesse, o meglio, esso rappresenta, per eccellenza, il costo del finanziamento proprio come recita il quarto comma dell’art. 117 TUB che stabilisce “…I contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo…”.
L’indicazione non corretta del prezzo costituisce una causa di nullità della clausola che determina il costo globale del finanziamento.
La conseguenza di quanto sopra è che:
• le commissioni ed le spese riassunte nel TAEG non saranno dovute;
• i tassi saranno sostituiti secondo quanto statuito dall’art. 117 T.U.B.
Un’interpretazione differente non è coerente con l’interpretazione letterale della legge.
2. Sull’applicabilità al caso di specie dell’art. 125 bis T.U.B.
Prescindendo, per un attimo dai ragionamenti dei quali sopra, si evidenzia che, ad ogni buon conto, il Giudice, in base al principio jura novit curia ben avrebbe potuto applicare al contratto di mutuo l’art. 125 bis T.U.B.
Il contratto di mutuo è stato stipulato fra la banca (professionista) ed i clienti (consumatori), pertanto, rientra, a pieno titolo, nei contratti disciplinati dal Capo II del Titolo VI del T.U.B.
Il Capo II, difatti, è rubricato “Credito ai consumatori”.
Esso detta le disposizioni che disciplinano i contratti di credito ai consumatori.
Alcuni interpreti che leggono la rubrica del titolo in maniera disattenta (o di parte) parlano di credito al consumo che è cosa ben diversa.
Con l’espressione credito al consumo si intendono tutte quelle attività di finanziamento delle persone fisiche e delle famiglie che hanno lo scopo di sostenere i consumi. Il credito al consumo si caratterizza per il fatto che non serve per sostenere investimenti, ma solo per finanziare la spesa corrente delle famiglie. Allorquando si parla di credito al consumo, pertanto, ha rilievo sia il soggetto che compie l’operazione (la persona fisica o la famiglia) ma anche la natura dell’operazione economica, ossia, il fatto che essa rientri nell’ambito della spesa corrente.
Il credito ai consumatori è una cosa ben diversa perché ciò che rileva è esclusivamente il soggetto che compie l’operazione: il consumatore.
In pratica il rapporto fra credito ai consumatori e credito al consumo è assimilabile al rapporto fra genere e specie.
Il credito al consumo è una specie del genere credito ai consumatori.
Il T.UB. con le disposizioni contenute nel II titolo del capo VI disciplina il credito ai consumatori.
Non vi è dubbio che il contratto di mutuo sia uno strumento finanziario con il quale il professionista (banca) concede credito al consumatore (cliente). Il fatto che detto credito sia utilizzato per acquistare o ristrutturare un immobile (invece che per fare acquistare un televisore e/o un viaggio) è assolutamente indifferente perché la rubrica del suddetto titolo è “Credito ai consumatori” e non “Credito al consumo”.
La conseguenza di quanto sopra, è l’applicazione dell’art. 125 bis T.U.B.
Vista la dedotta nullità, il Giudice ritenendo applicabile l’art. 125 bis T.U.B. in luogo dell’art. 117 T.U.B., avrebbe dovuto applicarlo in virtù del principio jura novità curia.
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