Senza il consenso informato si ha diritto al risarcimento danni
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge“.
Questo è quanto dispone la nostra Costituzione all’art. 32, operando, dunque, un bilanciamento tra due principi inviolabili del nostro ordinamento, il diritto alla salute e il diritto alla libertà personale (art. 13 e ss.), garantendo ai cittadini la facoltà di scegliere se sottoporsi o meno alle cure mediche, soprattutto qualora queste siano prescritte da un medico.
L’obbligo del medico di informare, le conseguenze che derivano dal mancato consenso e il diritto di ciascun cittadino di autodeterminarsi sono argomenti dibattuti e sui quali la giurisprudenza è intervenuta più volte.
Va preliminarmente precisato come il diritto all’autodeterminazione sia diverso dal diritto alla salute.
Tale diversità è resa palese dalle considerazioni secondo cui, pur sussistendo il consenso consapevole, ben può configurarsi responsabilità da lesione del diritto alla salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente eseguita e che la lesione al diritto all’autodeterminazione non necessariamente comporta la lesione del diritto alla salute, come accade quando manchi il consenso, ma l’intervento terapeutico sortisca un esito assolutamente positivo.
In questi casi, viene in rilievo, secondo la giurisprudenza, il caso in cui alla prestazione terapeutica conseguano pregiudizi che il paziente avrebbe alternativamente preferito sopportare nell’ambito di scelte che solo a lui è dato di compiere.
Viene in secondo luogo in rilievo la considerazione del turbamento e della sofferenza che deriva al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate, perché non prospettate; in altri termini, l’informazione cui il medico è tenuto in vista dell’espressione del consenso del paziente vale anche, ove il consenso sia prestato, a determinare nel paziente l’accettazione dell’eventuale esito sgradevole.
Al contrario, se il paziente non sia stato convenientemente informato, l’esito infausto, ancorchè non dipendente da errore medico, determinerà manifestazioni di turbamento di intensità ovviamente correlata alla gravità delle conseguenze verificatesi e non prospettate come possibili; sarà questo pregiudizio, di natura non patrimoniale, che costituisce l’effetto del mancato rispetto dell’obbligo informativo nei confronti del paziente, che merita di essere risarcito (Cassazione Civile 9 febbraio 2010, n. 2847).
Se la responsabilità per omessa informativa del medico si configura “indipendentemente dalla valutazione della diligente esecuzione della prestazione medica” e, addirittura, “indipendentemente dall’esito peggiorativo dell’intervento praticato” deve porsi in risalto la conseguente problematicità del quantificare il risarcimento di tale omissione.
Ai fini della responsabilità civile si può concordemente affermare, anche alla luce dei recenti arresti giurisprudenziali, che il medico il quale sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico in assenza di consenso informato, ovvero diverso o ulteriore rispetto a quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l’intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, sarà comunque tenuto al risarcimento dei danni conseguenti, patrimoniali e non patrimoniali, anche da perdita di chance (Cfr. Cassazione Civile, 28 novembre 2007, n. 24742, negli stessi termini, Cassazione Civile, Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533).
Ai fini della configurazione della responsabilità del medico per omessa o inesatta informazione, infatti, occorre ribadire che è del tutto indifferente che il trattamento medico sia stato eseguito correttamente o meno, dato che lo stesso trattamento è stato comunque eseguito in violazione tanto dell’art. 32, secondo comma Cost., quanto dell’art. 13 Cost. e dell’art. 33,L. 23 dicembre 1978, n. 833 e, il paziente ha conseguentemente perso il diritto inviolabile di accettare o rifiutare il trattamento, quale manifestazione di libertà (Cfr. anche Cassazione Civile, 14 marzo 2006, n. 6444).
L’obbligo d’informazione, infatti, è volto a tutelare direttamente l’autodeterminazione e la libertà del paziente.
Orbene, se il consenso informato è presupposto di legittimazione del trattamento medico, e se il diritto all’autodeterminazione è autonomo e distinto dal diritto alla salute, non vi è dubbio che la violazione del dovere di informazione e di autodeterminazione, anche nel caso in cui l’intervento chirurgico abbia avuto un esito fausto, nonostante l’assenza di un danno biologico, costituisca autonoma fonte di responsabilità risarcitoria.
La Giurisprudenza ha dibattuto a lungo sulla questione, chiarendo recentemente che il paziente è titolare del diritto a ricevere una corretta e completa informazione sul trattamento sanitario che si appresta a ricevere, che trova il fondamento nei principi costituzionali sopra richiamati.
Con la conseguenza che la lesione di tale diritto determina un danno autonomamente risarcibile in suo favore, anche nei casi in cui il trattamento o l’intervento medico sia andato a buon fine o non sia stato proprio eseguito.
Viene così radicalmente modificato quanto prima sostenuto da giurisprudenza, anche costante, che riteneva necessario che alla lesione dell’interesse, costituzionalmente rilevante, all’autodeterminazione, si accompagnasse una lesione alla salute.
Nell’ottica della funzione riparatoria delle responsabilità civile, se è vero che dalla lesione dell’interesse tutelato deve scaturire una perdita, una privazione di un valore non economico (Cfr. Cassazione Civile, 31 maggio 2003, n. 8827 e 8828,; e Cassazione Civile, Sez. Un., 24 marzo 2006, n. 6572), non vi è dubbio che per effetto della violazione del dovere di informazione, il paziente subisce una perdita della propria autodeterminazione, con conseguente privazione della libertà anche di decidere se e quando e da chi sottoporsi all’intervento, nonché, in presenza di alternative diagnostiche o terapeutiche, di rifiutare ovvero differire nel tempo la scelta della terapia da seguire. (cfr. Trib. Genova, 10 gennaio 2006).
A mettere un punto definitivo è intervenuta la Suprema Corte chiarendo che “l’acquisizione, da parte del medico, del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa, da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente. Si tratta, in definitiva, di due diritti distinti. Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona alla espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico e, quindi, alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato a un terminato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest’ultima non potendo peraltro, in ogni caso, violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana). Il trattamento medico terapeutico – diversamente – ha riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute” (v. Cassazione civile, sez. III, 05/07/2017, n. 16503).
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