Fisco e compravendita: contestazione del contenuto dell'atto notarile
Il fisco può contestare che l’immobile acquistato sia in uno stato diverso da quello descritto nell’atto notarile di compravendita. Infatti, la dichiarazione della parte contenuta nel rogito non fa piena prova fino a querela di falso della reale situazione in cui si trova il cespite.
Lo ha affermato la Suprema Corte, sezione Sesta T, con l’ordinanza n. 9105 del 18-05-2020 in oggetto, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna.
La Commissione aveva accolto il ricorso del contribuente contro una cartella di pagamento relativa all’acquisto di un immobile che il contribuente aveva dichiarato di aver acquistato “da ristrutturare”, mentre per il fisco era stato acquistato “allo stato grezzo”.
La Commissione aveva respinto le doglianze dell’Agenzia rilevando che l’atto notarile era stato oggetto di rettifica da parte dello stesso notaio il quale aveva chiarito che l’unità immobiliare compravenduta era allo stato grezzo, ma idonea all’abitazione e dotata di impianti, seppur con la necessità di interventi di ristrutturazione.
L’Agenzia è, dunque, ricorsa in Cassazione contestando la decisione della Commissione - per violazione e falsa applicazione degli artt. 2700 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. - argomentando l’erronea attribuzione di efficacia di prova legale al contenuto dell’atto pubblico. Per l’Agenzia, la Commissione aveva errato nel considerare come “vere” le dichiarazioni contenute nell’atto pubblico e che il notaio aveva dichiarazioni di aver ricevuto quando, al contrario, queste ultime, potevano essere contestate con qualunque mezzo di prova.
La Suprema Corte ha considerato fondato il motivo dell’Agenzia.
La Corte ha ribadito il proprio orientamento sul punto, affermando come “l’atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso solo in relazione alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato; alle dichiarazioni al medesimo rese e agli altri fatti dal medesimo compiuti; pertanto detta efficacia probatoria non si estende anche alle dichiarazioni fatte dai comparenti e trasfuse nell’atto pubblico, ben potendo queste ultime essere liberamente contrastate e valutate in sede giudiziale con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, senza dover ricorrere alla querela di falso” (cfr. Cass. 3787/2012; 9649/2006; 22903/2017).
La Corte ha, dunque, proseguito argomentando che la Commissione ha disatteso i principi di diritto vigenti in materia (Cass. 10408/2019) non avendo valutato, nel corso del giudizio e con ogni mezzo di prova, le dichiarazioni dei comparenti e la congruenza di quanto dichiarato dagli stessi nell’atto di rettifica.
Tanto sopra, il ricorso del fisco è stato accolto dalla Suprema Corte che ha rinviato la causa alla Commissione Tributaria Regionale per un nuovo esame del merito e per la determinazione delle spese per il giudizio di legittimità.
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