Modifica di parte comune: innovazione vietata o sopraelevazione?

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 11490 depositata il 15 giugno scorso ha stabilito che in materia condominiale costituisce innovazione vietata e non sopraelevazione l’opera che sottrae un bene all’uso comune. L’intervento edificatorio, per essere considerato sopraelevazione, deve infatti comportare solo l’occupazione della colonna d’aria sovrastante il fabbricato.
La vicenda trae origine dalla realizzazione - da parte di alcuni Condomini - di diverse opere volte alla espansione delle loro proprietà (lastrico solare, vano ascensore di un metro, due serre dotate di locali termici e servizi igienici…), interventi – questi – tutti approvati sia dall’assemblea condominiale che dalla Pubblica Amministrazione competente.
A seguito della realizzazione di tali lavori, tuttavia, alcuni Condomini convenivano in giudizio i proprietari delle unità abitative interessate, al fine di ottenere la riduzione in pristino delle opere ritenute illegittime, per aver le stesse ingiustamente alterato la proprietà comune, nonché la corresponsione di un’indennità di sopraelevazione, calcolata secondo i criteri di legge.
Ciò, sulla scorta dell’art. 1127 c.c. ai sensi del quale: “Il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare […] Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante. Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare”.
I giudici di merito rigettavano la ricostruzione degli attori e la domanda di riduzione in pristino, accordando solo la corresponsione dell’indennità di sopraelevazione: ad avviso dei giudici di secondo grado, i lavori dovevano essere qualificati come sopraelevazione in quanto alcuni spazi sostanzialmente non utilizzati erano stati trasformati in locali del tutto utilizzabili da parte di alcuni soltanto dei Condomini; da qui la determinazione dell’indennità.
La decisione della Corte di Appello veniva però impugnata dai Condomini soccombenti, secondo i quali le opere realizzate costituivano solo innovazioni non consentite e non si poteva parlare di sopraelevazione.
La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, ha rimarcato la differenza tra sopraelevazione ed innovazione, ritenendo che ai fini dell’art. 1127 del codice civile la sopraelevazione di un edificio condominiale è costituita dalla realizzazione di nuovi piani o fabbriche sull’ultimo piano o comunque dalla trasformazione di locali preesistenti mediante incremento delle superfici o volumetrie, anche indipendentemente dall’aumento dell’altezza dello stabile.
Al contrario, non vi è sopraelevazione nell’ipotesi di modificazione solo interna di un sottotetto o nei casi in cui il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio condominiale interviene con opere di trasformazione delle parti comuni che, per le loro caratteristiche strutturali (nella specie abbattimento del tetto per creare due terrazzi e trasformazione di spazi condominiali in vani utilizzabili solo da parte di alcuni Condomini) sono idonee a sottrarre il bene comune alla sua destinazione in favore degli altri Condomini e attrarlo nell’uso esclusivo del singolo condominio attraverso la creazione di un accesso diretto.
In altre parole, ad avviso della Corte di Cassazione, costituisce sopraelevazione soltanto l’intervento edificatorio che comporta l’occupazione della colonna d’aria sovrastante il fabbricato condominiale.
Quando, invece, il proprietario dell’ultimo piano abbatte parte della falda del tetto e della muratura per la costruzione di una terrazza, con destinazione a uso esclusivo, la modifica integra un’utilizzazione non consentita delle cose comuni e, dunque, un’innovazione vietata, giacché le trasformazioni strutturali realizzate determinano l’appropriazione definitiva di cose comuni alla proprietà individuale, con conseguente lesione dei diritti degli altri Condomini.
Sulla scorta di tali argomentazioni, la Suprema Corte cassa la decisione di appello con rinvio, sancendo come detto giudice non avesse nella propria decisione tenuto conto di quali opere fossero state realizzate nelle parti private e quali nelle parti comuni, con illegittima modifica delle stesse e conseguente diritto dei singoli Condomini a richiedere la riduzione in pristino.
La stessa indennità di sopraelevazione accordata dal giudice di secondo grado era stata calcolata in modo errato, in quanto avrebbe dovuto essere incentrata unicamente sulle opere che costituivano sopraelevazione (e quindi occupazione della colonna d’aria sovrastante il fabbricato) e non anche modificazioni avvenute all’interno del volume preesistente del condominio.
Solo a seguito della precisazione della natura delle opere, quindi, si sarebbe potuta precisare la quantificazione dell’indennità di sopraelevazione.
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