Quando il diritto di costruire in aderenza prevale su distanza minima

La recente sentenza n. 1003/2025 della Corte Suprema di Cassazione offre interessanti spunti di riflessione sul complesso tema delle distanze legali tra edifici, con particolare riferimento alla costruzione di sottotetti e alla facoltà di edificare in aderenza prevista da specifiche normative locali.
Il caso in esame
La vicenda processuale, iniziata nel lontano 2006, vede contrapporsi proprietari confinanti nel Comune di Angri, in provincia di Salerno. Al centro della controversia, lavori di manutenzione straordinaria e la realizzazione di un sottotetto che, secondo gli attori, violavano le distanze legali, provocando infiltrazioni d'acqua piovana e invadendo lo spazio aereo del loro lastrico solare con le falde del tetto e un pluviale.
Dopo un primo grado che aveva parzialmente accolto le domande dei proprietari danneggiati, riconoscendo la violazione della distanza legale di cinque metri dal confine prescritta dal PRG comunale per la zona B1, la Corte d'Appello di Salerno aveva confermato l'obbligo di ripristino della situazione precedente, riducendo però il risarcimento danni da €15.000 a €4.000.
La questione giuridica centrale
Il punto cruciale affrontato dalla Cassazione riguarda la possibilità, per i proprietari che avevano realizzato il sottotetto, di avanzare la costruzione fino al confine esercitando la facoltà di costruire "in aderenza", espressamente prevista dall'art. 7 delle norme urbanistico-edilizie del PRG del Comune di Angri del 1986 per la zona B1.
La sentenza d'appello aveva negato questa possibilità basandosi sul fatto che, dai rilievi tecnici, risultava che una parte del sottotetto si trovava a 3,75 metri dal confine (quindi non in aderenza), e che i ricorrenti non potevano invocare tale facoltà non essendosi conformati al progetto assentito dal permesso di costruire in sanatoria.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte, accogliendo il terzo motivo di ricorso, ha stabilito un principio fondamentale: la situazione di fatto rilevata dal CTU (Consulente Tecnico d'Ufficio) in ordine alla collocazione del sottotetto "non poteva incidere sulla facoltà giuridica alternativa spettante" ai proprietari di costruire in aderenza al fabbricato dei confinanti, anziché rispettare la distanza di cinque metri.
La sentenza chiarisce che: "in presenza di norme regolamentari locali che prevedano il rispetto di una distanza minima tra edifici, o dal confine, la possibilità della realizzazione di una costruzione in aderenza è subordinata alla presenza nel regolamento locale di una norma che espressamente autorizzi tale facoltà". Nel caso specifico, l'art. 7 delle norme urbanistiche del Comune di Angri prevedeva proprio questa possibilità per la zona B1.
Le implicazioni in tema di distanze legali
La Cassazione coglie l'occasione per ribadire un importante principio giurisprudenziale: in tema di distanze legali, la facoltà del vicino convenuto di arretrare fino alla distanza legale la propria costruzione illegittima, ovvero di avanzarla fino a quella del preveniente, si traduce sul piano processuale nel potere del giudice di disporre, con la sentenza di condanna, l'eliminazione della situazione illegittima in via alternativa, ordinando l'arretramento o l'avanzamento secondo i principi dell'aderenza.
Questa facoltà non costituisce una domanda vera e propria, ma una "sollecitazione del potere del giudice" che può essere esercitata anche in appello senza incorrere in preclusioni.
Il risarcimento del danno: da "in re ipsa" a "danno conseguenza"
Un altro aspetto rilevante della sentenza riguarda la liquidazione del danno per violazione delle distanze legali. La Cassazione ha accolto anche il quinto motivo di ricorso, censurando l'approccio della Corte d'Appello che aveva liquidato il danno in €4.000 "senza stabilire un criterio di quantificazione che permettesse di agganciarlo alla durata della menomazione delle facoltà" del proprietario danneggiato.
La Suprema Corte richiama l'evoluzione giurisprudenziale sul punto, evidenziando come le Sezioni Unite (sentenza n. 33645/2022) abbiano superato la nozione di "danno in re ipsa", sostituendola con quella di "danno presunto" o "danno normale", privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.
Conclusioni
La sentenza n. 1003/2025 della Cassazione rappresenta un importante precedente che chiarisce come, in presenza di specifiche previsioni nei regolamenti edilizi locali, la facoltà di costruire in aderenza possa prevalere sull'obbligo di rispettare la distanza minima dal confine.
Allo stesso tempo, la pronuncia si inserisce nel solco dell'evoluzione giurisprudenziale in tema di risarcimento del danno da violazione del diritto di proprietà, ribadendo la necessità di un approccio che, pur ammettendo l'utilizzo di presunzioni, richiede comunque l'allegazione di elementi concreti da cui desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio patrimoniale subito.
La Corte ha quindi rinviato la causa alla Corte d'Appello di Salerno in diversa composizione, che dovrà riesaminare la questione alla luce dei principi enunciati, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Articolo del: