IMU e prima casa: non necessaria la residenza di ambo i coniugi

La recente ordinanza della Corte di Cassazione stabilisce un principio fondamentale in materia di IMU sulla prima casa, affermando che l'esenzione dall'imposta spetta anche quando il coniuge risiede in un altro comune, superando definitivamente l'interpretazione restrittiva che richiedeva la coincidenza di residenza e dimora dell'intero nucleo familiare.
La decisione si fonda sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 209/2022, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2, del decreto-legge n. 201/2011, nella parte in cui stabiliva che per abitazione principale si dovesse intendere l'immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Tale pronuncia ha rappresentato un punto di svolta nell'interpretazione della normativa IMU, eliminando una disposizione che creava un'irragionevole disparità di trattamento tra i nuclei familiari.
Dal punto di vista tributario, la Corte di Cassazione ha chiarito che per godere dell'esenzione IMU è sufficiente che il proprietario dell'immobile vi abbia stabilito la propria residenza anagrafica e dimora abituale, come evidenziato nell'ordinanza n. 19684 del 17 luglio 2024. Non rileva, ai fini dell'agevolazione, che il coniuge o altri componenti del nucleo familiare abbiano la residenza in un diverso comune. Questo principio si basa sul riconoscimento che il presupposto impositivo dell'IMU è legato al possesso dell'immobile e alla sua destinazione effettiva ad abitazione principale del soggetto passivo, indipendentemente dalle scelte abitative degli altri componenti del nucleo familiare.
Sul versante civilistico, la giurisprudenza ha riconosciuto che la scelta dei coniugi di stabilire residenze separate rientra pienamente nell'ambito degli accordi sull'indirizzo della vita familiare previsti dall'art. 144 c.c. e non contrasta con l'obbligo di coabitazione sancito dall'art. 143 c.c., come confermato dall'ordinanza n. 11143 del 24 aprile 2024. Questa interpretazione tiene conto delle moderne dinamiche familiari, dove sempre più spesso i coniugi si trovano a vivere in luoghi diversi per ragioni lavorative o personali, pur mantenendo l'affectio coniugalis e l'unità del nucleo familiare.
La Corte ha inoltre evidenziato, richiamando l'ordinanza n. 19788 del 11 luglio 2023, che la ratio della pronuncia di illegittimità costituzionale risiede nella necessità di non discriminare i nuclei familiari fondati sul matrimonio o sull'unione civile rispetto ad altre forme di convivenza. Questa interpretazione si allinea con i principi costituzionali di uguaglianza e tutela della famiglia, riconoscendo che le esigenze di mobilità lavorativa e le mutate condizioni sociali possono legittimamente portare i coniugi a stabilire residenze in comuni diversi.
Dal punto di vista procedurale, la sentenza richiama l'ordinanza n. 16260 del 11 giugno 2024, che ha precisato gli obblighi dichiarativi del contribuente, stabilendo che la dichiarazione all'ente impositore è necessaria solo quando il presupposto per l'agevolazione non sia oggettivamente conoscibile attraverso gli archivi comunali.
Questa pronuncia si inserisce in un più ampio percorso giurisprudenziale che ha progressivamente superato interpretazioni formalistiche della normativa IMU, privilegiando una valutazione sostanziale che tiene conto delle effettive dinamiche familiari contemporanee. La decisione rappresenta un importante punto di equilibrio tra le esigenze di gettito fiscale e la tutela dei diritti dei contribuenti, riconoscendo che l'unità della famiglia non può essere misurata esclusivamente attraverso il criterio della coabitazione fisica, ma deve essere valutata alla luce delle concrete modalità di organizzazione della vita familiare.
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