Impugnazione per mancato rinnovo del permesso di soggiorno

Mi viene chiesto parere in merito alla possibilità di impugnare un decreto del Questore con il quale è stata respinta l’istanza di soggiorno del richiedente ed è stata disposta l’immediata espulsione dal territorio nazionale dello stesso in quanto cittadino extra Ue, mediante accompagnamento coattivo in frontiera a mezzo della Forza Pubblica, in ottemperanza a quanto specificamente previsto dall’art. 13, del D.L.vo 286/98, così come modificato dalla L. 189/02, in relazione all’art. 7, paragrafo 4, della Direttiva nr° 2008/115/CE del 16.12.2008.
In punto di fatto va chiarito che il richiedente è entrato in Italia come turista nell’anno 2002, avendo trovato sin da subito, un’occupazione lavorativa, ed ottenuto il permesso di soggiorno, si legava sentimentalmente ad una connazionale, parimenti residente in Italia divenendo padre nel 2005. Tuttavia il richiedente per un episodio risalente al 2009, era stato condannato con sentenza emessa in data 30.06.2014 dalla Corte di Appello territoriale, divenuta irrevocabile il successivo 31.10.2014, alla pena di anni 1 (uno) e mesi 8 (otto) di reclusione, per i reati previsti e puniti dagli artt. 572 (Maltrattamenti contro familiari e conviventi) – 337 (resistenza a un pubblico ufficiale) e 528 c.p. (lesioni personali), commesso a Napoli il 25.12.2009.
Il richiedente, anche successivamente alla sentenza penale di condanna, otteneva sempre il rinnovo del permesso di soggiorno dalla Questura territorialmente competente e, pertanto, con l’approssimarsi della scadenza dello stesso, inoltrava presso gli Sportelli Ricezione Pubblico del locale Ufficio Immigrazione, istanza volta a conseguirne il rinnovo per motivi di lavoro subordinato.
La Questura, sorprendentemente comunicava al richiedente l’avvio del procedimento di diniego del richiesto permesso di soggiorno perché, a seguito dell’attività istruttoria, era emersa la citata condanna penale.
Il Questore ritenendo le memorie presentate dal richiedente non idonee ad una diversa valutazione del caso, respingeva la richiesta di permesso di soggiorno del richiedente disponendo contestualmente l’immediata espulsione dal territorio nazionale del detto cittadino extra Ue, mediante accompagnamento coattivo in frontiera a mezzo della Forza Pubblica, in ottemperanza a quanto specificamente previsto dall’art. 13, del D.L.vo 286/98, così come modificato dalla L. 189/02, in relazione all’art. 7, paragrafo 4, della Direttiva nr° 2008/115/CE del 16.12.2008.
Sostiene l’amministrazione intimata che la grave condotta realizzata dal richiedente in ambito domestico risulta lesiva dell’unità familiare in quanto posta in assoluto disprezzo dei propri familiari, pertanto, incompatibile con un presunto inserimento sociale con la conseguenza che le gravissime ipotesi delittuose realizzate dall’istante, giudizialmente accertate, ostano, al rilascio di qualsiasi tipologia di soggiorno. In primo luogo occorre chiarire che il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno è stato altresì disposto in applicazione dell’art. 18 bis comma IV bis del D.lgs. che recita “4-bis. Nei confronti dello straniero condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al comma 1 del presente articolo, commessi in ambito di violenza domestica, possono essere disposte la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione ai sensi dell'articolo 13 del presente testo unico”.
Sul punto, va evidenziato che la citata norma va necessariamente applicata in combinato disposto con l’art. 5, comma 5, del medesimo D.lgs. 25.7.1998, n. 286, secondo cui, il permesso di soggiorno, ovvero il suo rinnovo, possono essere rifiutati “sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio… nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché', per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
Con riferimento a tale previsione normativa la Corte costituzionale, con la sentenza 18 luglio 2013 n. 202, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, comma 5, del D.lgs. n. 286 citato, come modificato per effetto del d.lgs. n. 5/2007, per contrasto con gli artt. 2,3,29,30 e 31 Cost., nella parte in cui non estende a tutti i casi in cui lo straniero abbia nello Stato legami familiari la tutela rafforzata prevista dalla norma in questioni per i casi in cui vi stato un ricongiungimento familiare.
Ne discende che l’amministrazione alla luce della richiamata normativa deve necessariamente compiere la valutazione della sussistenza dei requisiti per il rinnovo tenendo conto non solo della situazione “pregressa” dello straniero, ma anche e soprattutto delle sue condizioni attuali.
In particolare la giurisprudenza ha ritenuto che anche in presenza di reati ritenuti ostativi al rilascio del rinnovo del permesso di soggiorno l’indice presuntivo di pericolosità desunto da precedenti condanne va bilanciato, in linea di principio, con eventuali altri elementi atti a dimostrare in concreto una prognosi di affidabilità dello straniero nella prospettiva della sua permanenza in Italia, sicché l’eventuale revoca deve essere sorretta da un giudizio di pericolosità sociale mediante una motivazione che dia conto non solo dell’intervenuta condanna ma anche di (eventuali) altri elementi, quali la durata del soggiorno nel territorio nazionale, l’inserimento sociale, familiare e lavorativo dell’interessato (Consiglio di Stato Sez. 3a sentenza n. 2032 del 22.4.2015, sentenza n. 5221/2014).
Con la conseguenza che un eventuale diniego deve “riportare una articolata motivazione su tutti gli elementi che hanno contribuito a formulare un giudizio di pericolosità attuale e concreta e dovrà tener conto dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero, nonché della durata del soggiorno sul territorio nazionale” (circolare del Ministero dell’Interno, prot. n. 400/A/2007/463/P/10.2.2 del 16 febbraio 2007, esplicativa del decreto legislativo n. 3 del 2007) (T.A.R. Lazio, Latina sez. 1a, n. sentenza n.461/2015; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. 2a sentenza n. 1098/2015).
Ebbene, nulla di tutto quanto innanzi detto è avvenuto nel caso di specie, laddove la Questura non ha minimamente considerato l’attuale situazione del ricorrente né che la condanna risale ad un episodio avvenuto oltre 10 anni prima, che il comportamento illecito dell’istante resta circoscritto ad un unico episodio isolato e, quindi, non è certamente idoneo a denotare una personalità sociale pericolosa, tant’è che il richiedente nel corso dell’intera sua permanenza in Italia non ha commesso altri reati, ha serbato sempre una condotta irreprensibile, dedicandosi ogni giorno alla attività lavorativa, dando altresì prova di essersi inserito nella società, impegnandosi ad integrarsi il più possibile anche attraverso la partecipazione ad un corso di lingua e cultura italiana di livello, ma soprattutto iscrivendosi a scuola dove ha conseguito nell’anno scolastico 2019/2020 il diploma di scuola secondaria di primo grado, nonché occupandosi del figlio minorenne.
E’ evidente che detto rapporto nel contemperamento degli interessi riveste rilevanza fondamentale, laddove il legame affettivo del richiedente con il proprio figlio minorenne, appena quindicenne e quindi inestradabile e bisognoso della vicinanza e dell’assistenza della figura paterna doveva essere vagliato dall’amministrazione imponendo di considerare che a seguito dell’espatrio del ricorrente verrebbe interrotto irreparabilmente il legame padre-figlio con conseguente grave disagio psichico per il figlio minorenne tra l’altro in una particolare fase della sua vita, ovvero nella adolescenza.
Tra l’altro, proprio lo stretto legame del richiedente con il figlio dimostra che l’episodio del 2009 è stato “unico” e non ha in alcun modo creato terrore e paura in ambito familiare tanto è vero che la ex compagna del ricorrente non gli ha mai impedito di avere rapporti e di frequentare il ragazzo.
A ciò dovendosi aggiungere che il ricorrente qualora espulso, non potrebbe più garantire il sostentamento economico del figlio che quindi risulta anche per tali ragioni irrimediabilmente penalizzato dalla decisione che si contesta.
Appare, quindi, evidente che l’impugnato decreto ha palesemente violato i principi chiariti dalla giurisprudenza in merito alla necessaria valutazione sulle conseguenze di un diniego del rinnovo del permesso di soggiorno sulla famiglia (sul figlio) del richiedente legittimante soggiornante nel nostro paese (Consiglio di Stato Sez. 3a, sentenza n. 4758 del 10.08.2011) perché il Questore si è limitato a richiamare i fatti risalenti al 2009 cui è scaturita la condanna del ricorrente senza esprimere affatto alcuna motivata valutazione in merito alla sua specifica attuale situazione ed ai riflessi dell’atto sulla vita del figlio minorenne.
A tale stregua di tutto quanto innanzi detto, il provvedimento gravato risulta certamente illegittimo per carenza di istruttoria, violazione del richiamato dell’art. 5, comma 5, del D.lgs. n. 286/1998, nonché per motivazione inadeguata ed inidonea a legittimare la grave decisione che si contesta e deve essere impugnato innanzi al innanzi al T.A.R. territorialmente competente, entro il termine decadenziale previsto dall’art. 29 c.p.a. ovvero entro 60 giorni dalla notifica chiedendo sia il decreto cautelare monocratico ai sensi dell’art. 56 c.p.a. che il provvedimento cautelare collegiale ai sensi dell’art. 55 c.p.a. fondate sulla necessità di evitare l’espulsione.
Avv. Leonardo Sagnibene
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