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Ricorso contro il rigetto della domanda di assegno di invalidità


Ricorso amministrativo avverso il provvedimento di rigetto della domanda di assegno ordinario di invalidità nelle gestione FPLD
Ricorso contro il rigetto della domanda di assegno di invalidità

Mi viene chiesto parere in merito alla possibilità di presentazione di un ricorso amministrativo avverso il provvedimento di rigetto della domanda di assegno ordinario di invalidità nelle gestioni dei lavoratori dipendenti e nel Fondo FPLD.

In punto di fatto occorre chiarire che l’assicurato, dipendente di un grande Centro Commerciale con le mansioni di addetto alla vendita, presentava domanda per la liquidazione dell’assegno ordinario di invalidità ai sensi dell’art. 1 della L. 12.6.1984 n. 222 a seguito dell’insorgenza di una serie di patologie invalidanti.

In particolare, il certificato medico 2/2 allegato alla domanda e trasmesso al medico certificatore alla voce “obiettività” riferiva “paziente ansioso con dolorabilità diffusa alle articolazioni” e alla “diagnosi” riferiva: “cardiopatia ischemica, deficit coagulativo con ricorrenti episodi di trombosi venoso, artrite reumatoide, sindrome ansioso depressiva”.  

L’I.N.P.S. Direzione Provinciale di Napoli Vomero, con il provvedimento di reiezione, comunicava che: “non è stato possibile accogliere la domanda in oggetto presentata in data 1.2.2019 per il seguente motivo: non sono risultate infermità tali da determinare un riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini personali (art. 1 della legge 12 giugno 1984 n. 222)”.

L’assicurato pertanto, entro 90 giorni dalla data di ricezione del detto provvedimento di reiezione deve presentare ricorso in via amministrativa contestando le risultanze della valutazione operata dall’I.N.P.S.

In particolare, occorre rilevare che la Direzione Provinciale I.N.P.S. ha valutato in maniera assolutamente superficiale ed arbitraria il quadro patologico di cui è risultato affetto l’assicurato, non riconoscendo la sussistenza di infermità tali da determinare un riduzione “a meno di un terzo” della capacità di lavoro come previsto dall’art. 1 della legge 12 giugno 1984 n. 222.

Com’è noto la Legge 12.6.1984 n. 222 recante la “Revisione della disciplina della invalidità pensionabile” all’art. 1 “assegno ordinario di invalidità” prevede che: “1. Si considera invalido, ai fini del conseguimento del diritto ad assegno nell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ed autonomi gestita dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, l'assicurato la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale a meno di un terzo”.

La Suprema Corte di Cassazione in relazione alle attività di valutazione ad opera dell’I.N.P.S. del quadro morboso complessivo del soggetto assicurato, risultante affetto da più patologie incidenti sulla capacità di lavoro, “in occupazioni confacenti”  ha affermato che “in sede di valutazione della capacità di lavoro, ai fini della sussistenza del diritto all’assegno ordinario d’invalidità disciplinato dalla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, si deve tener conto del quadro morboso complessivo del soggetto assicurato e non delle singole manifestazioni morbose, considerate l’una indipendentemente dalle altre, né può procedersi ad una somma aritmetica delle percentuali d’invalidità relative a ciascuna delle infermità riscontrate, dovendosi invece compiere una valutazione complessiva delle stesse, con specifico riferimento alla loro incidenza sull’attività svolta in precedenza e su ogni altra che sia confacente. Non è conseguentemente consentito il ricorso alle tabelle infortunistiche o comunque ad un sistema di tabelle che stabiliscano un automatico confronto fra infermità o difetto fisico o mentale e la probabile conseguente riduzione della capacità di lavoro, in quanto indici medi che, riferiti ad un’attività lavorativa generica, possono essere presi in considerazione soltanto come semplice punto di partenza per un’indagine diretta ad accertare l’effettiva riduzione della capacità subita dall’assicurato in relazione all’attività svolta, che può risultare tanto superiore che inferiore alla percentuale risultante dall’applicazione d’una tabella di valutazione astratta” (Suprema Corte di Cassazione – Sez. Lavoro e Previdenza, sentenza n. 22737 del 4.10.2013).

La Suprema Corte di Cassazione, inoltre, in relazione alle attività di valutazione ad opera dell’I.N.P.S. circa le “occupazioni confacenti”  ha chiarito che: “ai fini del riconoscimento dell'assegno ordinario di invalidità, la sussistenza del requisito posto dall'art. 1 della legge 12 giugno 1984, n. 222, concernente la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell'assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, deve essere verificata in riferimento non solo alle attività lavorative sostanzialmente identiche a quelle precedentemente svolte dall'assicurato (e nel corso delle quali si è manifestato il quadro patologico invalidante), ma anche a tutte quelle occupazioni che, pur diverse, non presentano una rilevante divaricazione rispetto al lavoro precedente, in quanto costituiscono una naturale estrinsecazione delle attitudini dell'assicurato medesimo, tenuto conto di età, sesso, formazione professionale e di ogni altra circostanza emergente nella concreta fattispecie, che faccia ragionevolmente presumere l'adattabilità professionale al nuovo lavoro, senza esporre l'assicurato ad ulteriore danno per la salute” (Suprema Corte di Cassazione – Sez. Lavoro e Previdenza, ordinanza n. 10424 del 20.5.2015).

Orbene, applicando i richiamati principi giurisprudenziali al caso in esame è evidente che la Direzione Provinciale I.N.P.S. nel valutare il descritto quadro patologico da cui risulta affetto il richiedente parere ha sicuramente omesso di considerare i gravi effetti invalidanti delle patologie sofferte dal ricorrente e la loro coesistenza sinergica incidente in termini di riduzione “a meno di un terzo” della capacità di lavoro “in occupazioni confacenti” a quelle cui è addetto il richiedente parere.

Come detto, l’assicurato è dipendente di un grande Centro Commerciale in qualità di “addetto alle vendite” inquadrato nel Quarto Livello di cui alla classificazione del CCNL “contratto commercio” relativo al quadriennio normativo 2015/2018.

In particolare, il detto CCNL alla Sezione Quarta “Disciplina del Rapporto di Lavoro” al Capo Quinto, Titolo Terzo, all’art. 100 recante la “classificazione” prevede che: “al quarto livello appartengono i lavoratori che eseguono compiti operativi anche di vendita e relative operazioni complementari, nonché i lavoratori adibiti ai lavori che richiedono specifiche conoscenze tecniche e particolari capacità tecnico-pratiche comunque acquisite, e cioè:…8) addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita nelle aziende a integrale libero servizio (grandi magazzini, magazzini a prezzo unico, supermercati ed esercizi similari): addetto all'insieme delle operazioni ausiliarie alla vendita, intendendosi per tale l'esercizio promiscuo delle funzioni di incasso e relativa registrazione, di preparazione delle confezioni, di prezzatura, di marcatura, di segnalazione dello scoperto dei banchi, di rifornimento degli stessi, di movimentazione fisica delle merci.

Dalla declaratoria prevista dal riportato CCNL risulta evidente che tra le mansioni dell’addetto alle vendite rientrano una serie di attività tra cui: l’allestimento degli scaffali e delle vetrine, la preparazione delle confezioni, il rifornimento dei banchi, la movimentazione fisica delle merci, la sistemazione del magazzino, la redazione degli inventari etc.

Orbene, le descritte le mansioni dell’addetto alle vendite comportano l’effettuazione di tutta una serie di attività necessitanti di un grande impegno di tipo fisico che non risultano certamente compatibili con le patologie sia articolari che cardiache da cui il risulta affetto l’attuale ricorrente.

L’assicurato, infatti, come risulta dal certificato 2/2 del medico certificatore è affetto da “artrosi del rachide in toto con medio impegno funzionale, cardiopatia ischemica in II classe NYHA, sindrome depressiva reattiva media, artrite reumatoide con marcata dolorabilità e deficit funzionali della stazione eretta e della deambulazione”.

Come si può facilmente evincere si tratta di patologie di entità medio – grave che si sono ulteriormente aggravate nel tempo e hanno un decorso clinico degenerativo incidendo in maniera determinante sulla capacità di lavoro del ricorrente, sia attuale che futura,  in relazione al livello professionale di appartenenza  e alle mansioni cui è attualmente addetto nonché alle “occupazioni confacenti” alle attitudini dell’assicurato con particolare riferimento alla formazione professionale dello stesso, all’età, etc.

Com’è noto, infatti, l’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica, sistemica ed invalidante, di origine autoimmune che comporta deficit funzionali nei movimenti di rotazione e flesso-estensione con dolorabilità posturali e non consente, di mantenere la stazione eretta per periodi prolungati e né di deambulare autonomamente soprattutto perché la patologia reumatica, nel richiedente parere, è resistente alla terapia medica già somministrata, come risulta documentalmente accertato.

Inoltre, nel quadro clinico, assume una notevole importanza la presenza della cardiopatia ischemica in attuale terapia medica, a sua volta complicata dall’ipertensione arteriosa.

La cardiopatia ischemica, com’è noto, è una condizione patologica del cuore che compare quando c’è un’insufficiente apporto di sangue e ossigeno al muscolo cardiaco, e, come chiarito dalla scienza medica, nei casi più tipici la cardiomiopatia ischemica si presenta con dolore toracico sotto lo sterno “angina pectoris” o dolore anginoso e senso di pressione al petto.

Altri sintomi tipici di cardiopatia ischemica che accompagnano il classico dolore sono: sudorazione intensa, mancanza di respiro soprattutto durante l’attività da sforzo, ma anche in posizione sdraiata, affaticamento, palpitazioni, tosse, gonfiore generale.

Orbene, alla luce delle predette considerazioni è evidente che le patologie da cui risulta affetto lo scrivente, considerati gli effetti sinergici delle stesse, riducono la capacità di lavoro dello stesso “a meno di un terzo” nell’attività di addetto alle vendite attualmente svolta, nonché in ogni altra “occupazione confacenti” con le sue normali attitudini, considerata l’età dello stesso e la realtà lavorativa di riferimento.

Nel caso in esame, la valutazione sulla sussistenza dei presupposti per l’erogazione dell’assegno ordinario di invalidità, operata dalla Direzione Provinciale I.N.P.S., ha omesso del tutto la necessaria valutazione del quadro morboso complessivo dell’assicurato e la conseguente parametrazione delle patologie alla capacità lavorativa specifica dello stesso.

Nello specifico il provvedimento, impugnato con il presente ricorso, ha omesso di precisare le ragioni per le quali il complesso morboso da cui risulta affetto l’assicurato, non limita, nella proporzione prevista dalla legge e pari “a meno di un terzo”, non solo l'attività svolta di addetto alle vendite di un grande Centro Commerciale, ma anche altre “occupazioni confacenti” alle attitudini personali dell'assistito.

Pertanto, occorre presentare nel detto termine di 90 giorni dalla data di ricezione dei provvedimento di reiezione della domanda ricorso amministrativo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 46 della L. 9.3.1989 n. 88, al Comitato Provinciale I.N.P.S. chiedendo l’annullamento del provvedimento di rigetto della domanda di assegno ordinario di invalidità e il riconoscimento, in via definitiva, delle patologie quali infermità tali da determinare un riduzione “a meno di un terzo” della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini personali dello scrivente e per l’effetto: l’accoglimento della domanda e liquidazione del richiesto assegno ordinario di invalidità.

Va, altresì, precisato che ai sensi del già richiamato art. 46 della L. 9.3.1989 n. 88 al comma 6° precisa che “Trascorsi inutilmente novanta giorni dalla data della presentazione del ricorso, gli interessati hanno facoltà di adire l'autorità giudiziaria”.  

Pertanto, laddove il Comitato Provinciale I.N.P.S. non dovesse rispondere entro i 90 giorni normativamente previsti occorrerà adire il Tribunale territorialmente competente con un’istanza di a.t.p. accertamento tecnico preventivo ai sensi  dell’art. 445 bis c.p.c.

Da quanto detto il sottoscritto Avv. esprime un favorevole parere in merito alla possibilità di presentazione di un ricorso amministrativo avverso il provvedimento di rigetto della domanda di assegno ordinario di invalidità.

 

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