Vincolo di permanenza quinquennale nella sede di prima nomina: deroghe

Il richiedente parere Primo Aviere Capo trasferito d’autorità presso il coordinamento e controllo dell'Aeronautica Militare mi chiede parere in merito alla possibilità, per la coniuge, di ottenere una deroga al vincolo di permanenza quinquennale nelle sede di prima nomina a seguito della vincita di un concorso bandito dal Ministero della Giustizia – Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità.
Com’è noto, il D.lgs. 30.3.2001 n. 165 recante le “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” al Capo III “Uffici, piante organiche, mobilità e accessi” all’art. 35 “reclutamento del personale” al comma 5-bis aggiunto dall'art. 1, comma 230, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, precisa che: “I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi”.
Si tratta di una disposizione a carattere imperativo che, come tale, si impone a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 comma 2 del medesimo D.lgs. 30.3.2001 n. 165, ivi compresi, per quanto qui interessa, “I Dipartimenti Ministeriali”.
Il vincolo di permanenza quinquennale nella sede di prima destinazione è vincolo posto a tutela delle esigenze “organizzative ed operative” della P.A. che, esercitando la sua facoltà/potestà organizzativa, può farlo valere o meno a seconda delle esigenze proprie dell’Ente.
E’, cioè, un vincolo posto a tutela di un interesse particolare della P.A. in funzione delle sue variabili esigenze organizzative, tecniche e produttive che non è in contrasto con le omologhe norme civilistiche sul rapporto di lavoro subordinato di cui all’art.2103 c.c.
Orbene, tracciato il quadro normativo inerente il vincolo di permanenza nella sede di prima nomina occorre analizzate le norme presenti nell’ordinamento, che consentono delle limitate e circostanziate deroghe al detto vincolo solo per alcune categorie di dipendenti pubblici, in relazione a loro particolari situazioni coniugali e familiari nonché in presenza precise condizioni normativamente previste.
In particolare la legge 28.7.1999 n. 266 recante la “Delega al Governo per il riordino delle carriere diplomatica e prefettizia, nonché disposizioni per il restante personale del Ministero degli affari esteri, per il personale militare del Ministero della difesa, per il personale dell'Amministrazione penitenziaria e per il personale del Consiglio superiore della magistratura” all’art.17 – tutt’oggi in vigore laddove ai sensi dell’art. 2268 n. 962) del D.lgs. 15.3.2010 n. 66 – avente ad oggetto le “disposizioni concernenti il trasferimento del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia 1” prevede il diritto al “trasferimento”.
Nello specifico il detto art. 17, al comma 1, prevede espressamente che: “Il coniuge convivente del personale in servizio permanente delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di finanza e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, trasferiti d’autorità da una ad altra sede di servizio, che sia impiegato in una delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, ha diritto, all'atto del trasferimento o dell'elezione di domicilio nel territorio nazionale, ad essere impiegato presso l'amministrazione di appartenenza o, per comando o distacco, presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge o, in mancanza, nella sede più vicina”.
L’art. 17 comma 1 della legge 266/1999, come modificato dall’articolo 7 del D.lgs. 15.3.2010 n. 66, come rilevato anche dal Consiglio di Stato, ha portata precettiva e non derogabile, per cui il coniuge convivente del personale in servizio permanente delle Forze Armate, compresa l’Arma dei Carabinieri, ha diritto, all’atto del trasferimento d’autorità del militare ad altra sede di servizio, ad essere posto in posizione di comando o di distacco presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge o, in mancanza, nella sede più vicina.
La legittimità costituzionale della disposizione in parola è stata sottoposta al vaglio della Consulta, la quale, nel ritenere infondata, con la sentenza n. 183 del 30.5.2008, la questione sottopostale dal Giudice del Lavoro, ha ritenuto che la previsione di legge, avendo come finalità il ricongiungimento familiare, è diretta a rendere effettivo il diritto all’unità della famiglia, che, come la stessa Corte ha riconosciuto, si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare e costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umana.
La Corte Costituzionale ha in particolare osservato che: “La finalità dell’istituto del ricongiungimento del coniuge di militare trasferito, previsto dalla disposizione impugnata, è di tener conto contemporaneamente di due diverse esigenze: da un lato, quella del buon andamento (art. 97 Cost.) dell’amministrazione militare, la quale richiede un regime di più accentuata mobilità del rispettivo personale, per cui è previsto un «trasferimento d’autorità»; dall’altro lato, l’esigenza di tutela dell’unità familiare (art. 29, secondo comma, Cost.) che, in mancanza di tale istituto, per il militare e la sua famiglia risulterebbe compromessa, proprio a causa del particolare regime di mobilità che ne connota lo status”.
La Corte ha, pertanto, ritenuto che il legislatore abbia operato un corretto bilanciamento tra l’articolo 29 e l’articolo 97 della Costituzione, per cui se è vero che l’istituto del ricongiungimento familiare sottrae un dipendente ad un’amministrazione, è vero altresì che esso attenua i disagi provocati dalla mobilità del dipendente di un’altra amministrazione.
Va, tuttavia, osservato che l’art. 17 della citata legge 28.7.1999 n. 266 riconosce il diritto al “ricongiungimento familiare” tra un pubblico dipendente ed il coniuge in servizio permanente delle forze armate, solo in presenza dei seguenti requisiti:
1. il coniuge pubblico dipendente deve essere convivente;
2. il coniuge pubblico dipendente deve essere impiegato in amministrazioni di cui all’art. 2 comma 2 del D.lgs. 30.3.2001 n. 165;
3. il coniuge militare deve essere in servizio permanente nelle forze armate, compresa l’Arma dei Carabinieri, nel Corpo della Guardia di Finanza e delle Forze di Polizia ad ordinamento civile e nei ruoli degli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale, nonché nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco;
4. il coniuge militare deve essere trasferito d’autorità da una ad altra sede di servizio, o deve aver eletto di domicilio nel territorio nazionale in caso di trasferimento all’estero etc.
Pertanto, la norma riconosce il «diritto» del coniuge, pubblico dipendete, ad essere impiegato per comando o distacco, presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge o, in mancanza, nella sede più vicina.
E’, quindi, evidente che la norma opera una tutela della posizione del coniuge “pubblico dipendente” rispetto a situazione già consolidatesi nel tempo con un carattere di stabilità sui cui va ad intervenire ed incidere negativamente il “trasferimento d’autorità” di cui è destinatario di coniuge militare.
Orbene, la norma per un verso favorisce la ricongiunzione familiare, tutelando un bene fondamentale e costituzionalmente garantito, come il diritto all’unità familiare di cui all’art. 29, secondo comma, Cost., dall’altro, però, non promuove né facilita le condizioni che dovrebbero rendere effettivo il diritto al lavoro del coniuge che aspira a lavorare, così come previsto dall’art. 4 Cost.
Infatti, la norma non regola le situazioni in cui uno dei due coniugi diviene “pubblico dipendente” in un arco temporale successivo al matrimonio in cui la famiglia ha già una sede stabile e coincidente con quella in cui lavora il coniuge militare “non trasferito” né “trasferendo”.
Tale scelta si può giustificare laddove, comunque, il riconoscimento del diritto al trasferimento comporta una parziale compressione delle esigenze di alcune amministrazioni ovvero di quelle di volta in volta tenute a concedere il comando o distacco di propri dipendenti per consentirne il ricongiungimento con il coniuge e la tutela solo di situazioni già consolidatesi nel tempo consente un “ragionevole” bilanciamento dei diversi valori contrapposti, operato dal legislatore.
Orbene, occorre valutare come la norma di cui all’art. 17 della legge n. 266/1999 possa operare nel caso in cui il rapporto di pubblico impiego di uno dei coniugi si costituisca successivamente al matrimonio considerando altresì i possibili effetti della previsioni della stessa e del riconosciuto diritto al “ricongiungimento familiare” sul vincolo di permanenza quinquennale nelle sede di prima nomina.
Infatti, applicando i citati principi al caso oggetto della richiesta di parere occorre considerare che il Ministero della Giustizia – Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità con il bando pubblicato sulla Gazzetta ufficiale 4a Serie Speciale n.12 del 9.2.2018 indiva un “concorso pubblico, per esami, a duecentocinquanta posti a tempo indeterminato per il profilo professionale di funzionario della professionalità di servizio sociale, III area funzionale, fascia retributiva F1”.
In particolare, per quale che qui ci interessa, il detto bando all’art. 14 “nomina dei vincitori” ai commi 1 e 2 prevede che: “1. Acquisita la necessaria autorizzazione alla assunzione ai sensi della vigente normativa in materia, i candidati dichiarati vincitori saranno invitati a stipulare un contratto individuale a tempo indeterminato finalizzato all'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo pieno nella III Area funzionale, fascia retributiva F1, profilo professionale di funzionario della professionalità di servizio sociale. 2. Il rapporto di lavoro con l'Amministrazione decorrerà ad ogni effetto con l'accettazione da parte degli interessati del contratto individuale di lavoro che si perfezionerà con la presentazione nella sede di assegnazione nella data indicata da questa Amministrazione e con la sottoscrizione del verbale di immissione in servizio, fatto salvo il successivo accertamento da parte dell'Amministrazione del possesso dei requisiti prescritti per l'accesso all'impiego nell'Amministrazione dello Stato”.
Il successivo comma 4 precisa che: “Le sedi di assegnazione del personale da immettere in servizio saranno individuate in relazione alle esigenze organizzative ed operative dell'Amministrazione”.
Ed infine, il comma 6, del medesimo art. 14, prevede che: “I candidati del concorso dovranno permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni”.
Orbene, il detto concorso è su base nazionale e la compilazione della domanda, così come previsto dall’art. 6 del bando, non consentiva l’indicazione di preferenze di sede ovvero di precisazioni in merito a condizioni familiari.
L’Amministrazione, un volta individuate le proprie esigenze “organizzative ed operative” come previsto art. 14, comma 4, del bando, provvederà, com’è prassi, all’assegnazione delle sedi in relazione alla posizione ricoperta dai singoli candidati in graduatoria valutando, altresì, la residenza così come dichiarata alla lett. e) della domanda di partecipazione al concorso.
Occorrerà, altresì, valutare se l’Amministrazione, a seguito della successiva individuazione delle sedi cui assegnare i candidati vincitori, come previsto dal più volte citato art. 14, comma 4, nel silenzio del bando, provvederà a richiedere agli stessi eventuali “preferenze” di sede di assegnazione.
Orbene, nel caso in cui la coniuge dovesse essere assegnata, ai sensi dell’art. 14 del bando, in una sede di prima assegnazione in una provincia diversa da quella di residenza del coniuge militare potrà richiedere, in deroga vincolo di permanenza quinquennale nelle sede di prima nomina, il trasferimento ai sensi dell’art. 17 della legge 28.7.1999 n. 266 rispetto al “trasferimento d’autorità” del coniuge.
In particolare, la coniuge dovrà inoltrare domanda di trasferimento ai sensi dell’art. 17 della legge 28.7.1999 n. 266 chiedendo il comando o il distacco presso altre amministrazioni nella sede di servizio ove il coniuge è stato trasferito d’autorità o, in mancanza, nella sede più vicina, e, trascorsi trenta giorni dall’inoltro della domanda, dovrà impugnare l’eventuale diniego o il silenzio dell’Amministrazione innanzi al Tribunale Civile che risulterà territorialmente competente chiedendo l’accertamento del diritto al trasferimento.
Da quanto detto, il sottoscritto Avv. esprime un favorevole parere in merito alla possibilità di deroga del vincolo di permanenza quinquennale nelle sede di prima nomina con i limiti di cui in motivazione.
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