Immobile con vincolo archeologico, presentazione di istanza di sanatoria
Mi viene chiesto parere in merito alla possibilità di presentare un’istanza ex art. 35, comma 13 della L.28.2.1985 n. 47 con riferimento ad un immobile sottoposto ad un vincolo archeologico ai sensi dell’art. 58 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. e della Parte II Titolo I del D.Lgs. del 22.1.2004 n. 42 “Codice dei Beni culturali e del Paesaggio” nonché ad un vincolo paesaggistico ai sensi della Parte III Titoli I del medesimo D.Lgs., in relazione al prevedibile esito dell’istanza di condono con riferimento ai lavori abusivi.
Va rilevato che l’immobile è sottoposto al vincolo della legge 1089 del 1.6.1939 oggi sostituita dal D.Lgs. 22.1.2004, n. 42 recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” e ricadere, secondo l’attuale strumento urbanistico (PGR) approvato con Decreto di Giunta Reginale della Campania n. 323 dell’11.6.2004, nella “zona omogenea A insediamenti di interesse storico” ed è tipologicamente classificato, ai sensi degli artt. 86 e 90 della Norme d’attuazione del Piano Regolatore come “unità edilizia di base otto/novecentesca originaria odi ristrutturazione a corte”.
L’area ove si trova l’immobile, inoltre, è interessata da due vincoli: quello archeologico previsto dall’art.58 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore e da quello paesaggistico di cui al D.M. del 22.012.1956, pubblicato nella G.U. n. 17 del 19.1.1957 come regolato dalla Parte III Titolo I del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42 recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
Il proprietario presentava all’Ufficio Condono del Comune di Napoli un’istanza di sanatoria per abusi edilizi ai sensi della L.28.2.1985 n. 47 e della legge 23.12.1994 n. 724 nella quale dichiarava che l’abuso commesso consistente in un “ampliamento” ricade nella tipologia della Tabella allegata alla L. 47/1985: “opere realizzate in assenza o in difformità della licenza o concessione e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.
Successivamente il proprietario presentava un domanda di permesso di costruire ai sensi del D.P.R. 6.6.2001 n. 380 e della L.R. 28.11.2001 n. 19 per il “restauro del fabbricato” allegando un’apposita perizia.
Tuttavia il Comune di Napoli non ha mai dato esitazione alla domanda di permesso di costruire ed attualmente l’edificio necessita di lavori che mirano al completamento delle opere comprensive di impianti e finiture al fine di renderlo abitabile.
Tracciato il quadro fattuale della fattispecie in esame occorre evidenziare che in relazione alle “opere di completamento” la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che in presenza di manufatti oggetto di abusivi edilizi per i quali pende istanza di condono, gli interventi ulteriori, riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche, aventi il precipuo scopo dell’utilizzo dell’immobile nelle more dell’esitazione dell’istanza di condono non sono ammessi fino al momento di eventuali sanatorie, e devono ritenersi comunque abusivi, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.
Tuttavia ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento alla medesima sanzione prevista per l'immobile, o per la parte di esso ritenuta abusiva i lavori di completamento devono avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell'art. 35, comma 13, della legge n. 47 del 28.2.1985 (cfr. sul punto T.A.R. Campania, Sez. 6a, sentenza n. 3487 del 4.7.2013).
Com’è noto la legge 23.12.1994 n. 729 all’art. 39 recante la “Definizione agevolata delle violazioni edilizie” prevede che: “Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28.2.1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria...”
La richiamata legge 28.2.1985, n. 47 recante le “Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia. Sanzioni amministrative e penali” all’art. 35 avente ad oggetto il “procedimento per la sanatoria” al comma 13 prevede espressamente che: “Decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all'articolo 31 non comprese tra quelle indicate dall'articolo 33. A tal fine l'interessato notifica al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione. L'avvenuto versamento della prima e della seconda rata, seguito da garanzia fideiussoria per il residuo, abilita gli istituti di credito a concedere mutui fondiari ed edilizi. I lavori per il completamento delle opere di cui all'articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti amministrazioni”.
In particolare la norma precisa, che i lavori per il completamento delle opere eseguite su aree sottoposte a vincolo, come previsto dall’art. 32 della medesima legge, possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti amministrazioni.
Inoltre l’art. 33 avente ad oggetto le “opere non suscettibili di sanatoria” precisa al coma 2 che “sono altresì escluse dalla sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (ora Parte Seconda del decreto legislativo n. 42 del 2004), e che non siano compatibili con la tutela medesima”.
Orbene ai sensi dell’indicata disciplina risulta quindi possibile, dopo la presentazione della domanda di condono edilizio, realizzare degli interventi ulteriori, riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento previa acquisizione dei pareri previsti dall’art. 35, comma 13 ultima parte, ovvero il parere della Soprintendenza sulle opere di completamento.
Ora, poiché nel caso in esame, come risulta dagli atti, l’immobile oggetto della domanda di sanatoria si trova in un’area sottoposta a vincolo archeologico e a vincolo paesaggistico, è può essere oggetto di opere di completamento solo dopo il rilascio, da parte delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo del nulla osta.
Va inoltre rilevato che il D. Lgs. 22.1.2004, n. 42 recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137” al Titolo 1 alla Sez. I, all’art. 20, comma 1 prevede che: “i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione” ed il successivo art. 21, comma 4, del D.Lgs. 42 del 2004, “l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente”.
Pertanto ai fini della realizzazione delle opere di completamento occorre presentare al Comune ed alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, un’istanza ai sensi dell’art. 35, comma 13, e dell’art. 21, comma 4, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42.
In particolare nella detta istanza occorre evidenziare, quali sono i lavori di completamento che si intende realizzare evidenziando la assoluta ed improcrastinabile necessità di effettuare i lavori di completamento ai fini della utilizzabilità concreta dell’immobile.
Nello specifico va evidenziato che la giurisprudenza ha chiarito che “i lavori di completamento di cui all’art. 35 comma 8 l.47 del 1985 per la necessità ai fini della utilizzabilità concreta del manufatto oggetto di condono si caratterizzano e per la marginalità degli stessi, che non devono essere tali da aggiungere un quid novi alla conformazione strutturale dell’edificio come oggettivamente identificabile al rustico o comunque dotati di autonomia” (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. 2a sentenza n. 3815 del 17.10.2005, T.A.R. Campania Napoli Sez. 6a sentenza n. 8090 del 17.6.2006).
Come espressamente chiarito dalla giurisprudenza il proprietario con l’istanza e l’allegata perizia giurata deve richiedere solo ed esclusivamente l’autorizzazione ai soli lavori necessari per l’utilizzabilità concreta dell’immobile e tali da non modificare conformazione strutturale dello stesso anche rispetto a quanto dichiarato nell’istanza di condono.
Infatti, l’autorizzazione prevista dalla su richiamata disciplina non ha contenuto vincolato, potendo e dovendo, nel sempre necessario contemperamento degli interessi pubblici curati dall’amministrazione con quelli privati coinvolti nell’azione amministrativa, tendere alla bilanciata soddisfazione sia delle esigenze di tutela di detti beni, sia dell’interesse del privato che ne sia proprietario all’utilizzazione di essi.
Sul punto la giurisprudenza ha evidenziato che “Entrambi i valori in campo, tutela dei beni storici e della proprietà privata, sono assistiti da garanzia costituzionale. Il secondo comma dell’art. 9 della Carta contempla il primo di esse, il secondo comma dell’art. 42 della stessa contempla il secondo, prevedendo che alle facoltà del proprietario possano per legge essere posti limiti che ne assicurino la funzione sociale. In questo quadro complessivo, i provvedimenti attraverso i quali l’amministrazione esercita il potere-dovere di garantire la conservazione dei beni storico-culturali, lungi dall’avere contenuto vincolato, presuppongono valutazioni ampiamente discrezionali sulla compatibilità dell’intervento edilizio progettato con la natura del bene tutelato, che non può essere distrutto, deteriorato, danneggiato ovvero usato in modo incompatibile con la sua natura di bene storico, ma del quale deve pure essere consentita al privato proprietario un’utilizzazione che tuttavia non lo snaturi” T.A.R. Toscana – Firenze Sez. 3a sentenza n. 487 del 12.3.2014.
Da un punto di vista procedurale va evidenziato che l’art. 22, comma 4, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42 prevede espressamente che: “decorso inutilmente il termine di 120 giorni stabilito, il richiedente può diffidare l'amministrazione a provvedere. Se l'amministrazione non provvede nei trenta giorni successivi al ricevimento della diffida, il richiedente può agire ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 6.12.1971, n. 1034, e successive modificazioni”.
Ai sensi dell’art. 22, 4° comma del d.lgs. 42 del 2004, il mancato intervento dell’autorizzazione dell’Amministrazione dei beni culturali non può, pertanto, essere surrogato attraverso il ricorso a meccanismi di silenzio assenso, ma condiziona il successivo sviluppo dei procedimenti autorizzatori rimanendo al proprietario solo la possibilità di utilizzare i mezzi di tutela avverso il silenzio rifiuto per “superare” l’inerzia della Soprintendenza.
La circostanza che il rimedio tipizzato nei confronti dell’inerzia dell’amministrazione sia l’attivazione, previa diffida a provvedere, del rito sul silenzio dimostra come l’amministrazione non perda il potere di procedere e provvedere con il solo decorso del termine di 120 giorni previsto dalla norma.
Nel caso in esame laddove la Soprintendenza non provveda nel termine di 120 giorni dall’istanza il proprietario deve diffidare l’Amministrazione e a seguito dell’ulteriore termine di 30 giorni adire il T.A.R. Campania Napoli con ricorso avverso l’annullamento del silenzio da presentarsi ai sensi e per gli effetti dell’art. 117 c.p.a. che ha sostituto l’art. 21-bis della legge 6.12.1971, n. 1034.
Pertanto ritengo che sia possibile presentare la detta istanza, nei sopraindicati limiti, al fine del completamento delle opere comprensive di impianti e finiture per rendere abitabile l’immobile oggetto di intervento, e nel caso di silenzio della Soprintendenza sulla stessa adirà la giustizia amministrativa con il suindicato ricorso.
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