I rimborsi fiscali
Il presente articolo si pone come obiettivo quello di analizzare la procedura relativa al rimborso del credito d’imposta alla luce della recente sentenza (poco condivisibile) della Suprema Corte di Cassazione a SS.UU. del 15.03.2016 n.5069/16, con cui è stata riconosciuta all’Amministrazione finanziaria (AF) la possibilità di procedere al disconoscimento del rimborso fiscale anche oltre il termine previsto per l’accertamento.
Di fatto, secondo gli Ermellini "In tema di rimborso d'imposte, l'Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l'esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio "quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum"".
Nel tentativo di compiere un’analisi completa della vicenda in esame occorre, però, preliminarmente chiarire in cosa consiste il rimborso fiscale.
Ebbene, con il termine rimborso fiscale si intende la restituzione, da parte dell'AF, di imposte e ritenute che il contribuente ha versato o subito in misura superiore al dovuto, o di un eventuale credito che si è configurato in suo favore in seguito alla presentazione di una dichiarazione dei redditi. Invero il rimborso fiscale può essere conseguente:
- ad un pagamento non dovuto: c.d. Rimborso da indebito;
- al venir meno del titolo giustificativo del pagamento dovuto: c.d. Rimborso da restituzione;
- a detrazioni, ritenute, scomputi, crediti d’imposta, versamenti d’acconto poi risultati eccedenti: c.d. Rimborso da dichiarazione.
Inoltre, i rimborsi possono avere ad oggetto:
- imposte dirette (Ires, Irpef, Addizionali locali, ecc.);
- imposte indirette (Iva, Registro);
- imposte minori (oblazione condono edilizio, tasse automobilistiche).
Più specificamente in questa sede occorre, però, chiarire in cosa consiste il rimborso del credito d’imposta: invero, quest’ultimo si concretizza nella restituzione al contribuente delle somme che ha indebitamente versato (in misura superiore rispetto a quelle effettivamente dovute all’AF), per cui tutte le volte in cui il contribuente vanti una posizione creditoria, potrà chiedere all’AF la restituzione delle somme che gli sono state illegittimamente prelevate[1].
Ciò posto, nelle ipotesi di rimborso, le vie percorribili per il contribuente sono sostanzialmente due: da un lato, può rilevare la sua posizione creditoria nella dichiarazione dei redditi ed ottenere il rimborso a seguito di un’autonoma procedura automatizzata posta in essere dell’AF (c.d. rimborso d’ufficio) dall’altro, qualora i presupposti per il rimborso dovessero realizzarsi dopo la presentazione delle dichiarazione dei redditi, può, più specificamente, chiedere il rimborso mediante una successiva istanza da depositare presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente (c.d. rimborso su istanza) nei perentori termini di decadenza.
2. RIMBORSO D’UFFICIO
È una modalità di rimborso che viene eseguita autonomamente dall’AF nelle ipotesi in cui non risultino presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate apposite istanze presentate dal contribuente; di fatto questo tipo di rimborso determina l’insorgenza a carico dell’Ufficio di un vero e proprio obbligo di provvedere alla restituzione delle somme indebitamente versate.
Ebbene, i casi di rimborso d’ufficio sono tassativamente previsti dalla legge e si determinano nei seguenti casi:
a. per i crediti derivanti da errori materiali imputabili alla stessa AF: in questi casi, ex art. 41 co1 del D.P.R. 602/73, stante l’accertato errore materiale o duplicazione che è stato commesso, in capo all’Ufficio grava l’obbligo di rimborsare le maggiori imposte iscritte a ruolo.
b. per i crediti risultanti dalla dichiarazione dei redditi : come previsto dal co.2 del succitato art. 41 D.P.R. 602/73, il rimborso viene riconosciuto quando l’ammontare della ritenuta d’acconto sugli importi che hanno concorso alla determinazione del reddito imponibile (risultanti dai certificati d’imposta o quando questi non siano previsti, da altra idonea documentazione, allegati alla dichiarazione), risulti superiore a quello dell’imposta liquidata in base alla dichiarazione ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/73, nonché per i crediti di imposta derivanti dalla liquidazione delle dichiarazioni effettuata ai sensi dello stesso art. 36-bis.
Invero, con la compilazione del modello Unico, il contribuente, attraverso la procedura di autoliquidazione, determina l'imposta dovuta ed esegue il relativo versamento con apposita delega di pagamento modello F24. Se dalla liquidazione emerge, però, un credito o un'eccedenza di versamento, il contribuente compilando il quadro RX, potrà indicare la ripartizione di tali somme tra importi da utilizzare in compensazione e importi da chiedere a rimborso. In quest’ultimo caso, gli uffici dovranno provvedere entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo ad effettuare i rimborsi eventualmente spettanti in base ad essa ai sensi dell'art. 36 bis del D.P.R. 600/1973.
Le dichiarazioni dei redditi, oltre ad essere sottoposte al controllo automatizzato ai sensi dell'art. 36 bis del D.P.R. 600/73, possono essere, eventualmente, sottoposte anche al controllo formale ai sensi dell'art. 36 ter del D.P.R. 600/73. Vi è la possibilità che nella fase di controllo documentale venga, infatti, riconosciuto al contribuente un rimborso superiore a quello liquidato ai sensi dell'art. 36 bis e già presente in "base dati rimborsi". In tale fattispecie, l'Ufficio dovrà provvedere all'acquisizione manuale del rimborso emerso in sede di controllo ex art. 36 ter del D.P.R. 600/73.
In sostanza, con i "rimborsi d’ufficio", è come se la dichiarazione dei redditi fosse assimilata ad una specifica istanza di rimborso; secondo al Corte di Cassazione, infatti, in tema di imposte sui redditi, non occorre la presentazione di un'apposita istanza, "(...) in quanto l'Amministrazione, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria(...)" (Cass. sent. n. 2687/2007). Pertanto, in questo caso, se in sede di liquidazione o controllo formale della dichiarazione, dovesse risultare un credito del contribuente, l’Ufficio sarà obbligato a procedere al rimborso di propria iniziativa (senza che il contribuente si attivi ulteriormente mediante il deposito di specifiche istanze). Peraltro, questo assunto è stato nuovamente confermato con la sent. n. 21734/2014 con cui la Corte di Cassazione ha chiarito che l’esposizione nella dichiarazione dei redditi di un credito d’imposta (in merito al quale il contribuente non abbia esercitato l’opzione per la compensazione o per il riporto a nuovo) produce gli stessi effetti dell’istanza di rimborso di cui all’art 38 del D.P.R. 602/73.
Ebbene, ex art.41 D.P.R. 602/73 co.3, a provvedere al rimborso sarà "(...)l’intendente di finanza con ordinativo di pagamento entro il termine di trenta giorni dalla data di ricevimento della proposta(...)" inoltrata dall’ufficio delle imposte.
Inoltre, come previsto dagli artt. 42bis e 44 del D.P.R. 602/73, entro l’anno solare successivo alla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, l’amministrazione procederà mediante, una procedura automatizzata, alla redazione di specifiche liste di rimborso per ciascun periodo d’imposta, con l’indicazione dell’ammontare degli interessi calcolati. Sulla scorta di tali liste, vengono emessi poi uno o più ordinativi collettivi di pagamento estinguibili mediante commutazione di ufficio in vaglia cambiari non trasferibili della Banca d’Italia[2] (o, se richiesto dagli aventi diritto, mediante accreditamento in conto corrente bancario). I contribuenti che possono utilizzare il modello 730 (lavoratori dipendenti, pensionati, eccetera) potranno ottenere, invece, l'accredito del rimborso direttamente sulla prima busta paga a partire dal mese di luglio, o sul primo rateo di pensione utile a partire dal mese di agosto o di settembre. Se il rimborso non viene erogato dal sostituto, il contribuente può presentare istanza di rimborso all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate competente territorialmente, allegando la documentazione rilasciata dal datore di lavoro o dall'ente pensionistico comprovante il mancato accredito.
Va, altresì, rilevato che è del marzo 2016 la nota dell’Agenzia dell’Entrate con cui è stato previsto che, anche laddove il contribuente non dovesse chiedere il rimborso dei crediti d’imposta vantati con il Fisco, l’Agenzia delle Entrate provvederà comunque a rimborsare quelli risultanti dalla liquidazione delle dichiarazioni dei redditi. Stando alla prassi finora adottata, infatti, il contribuente, dopo il controllo automatizzato delle dichiarazioni, doveva rivolgersi all’ufficio per la verifica dell’effettività del maggior credito per poter poi scegliere le modalità di recupero da adottare. Statisticamente quasi tutti i crediti IRPEF ed IRAP risultanti dalle liquidazioni, sono stati poi confermati dalle successive verifiche, motivo per il quale l’Agenzia ha deciso di procedere direttamente, d’ufficio, al rimborso dei crediti: in sostanza i contribuenti non dovranno più recarsi di persona presso gli uffici dell’Agenzia (faranno eccezione solo i crediti delle società e dei soggetti IVA e i crediti risultanti dalle dichiarazioni precompilate).
c. per i crediti derivanti da una decisione della Commissione tributaria: invero, nelle ipotesi di ricorso dinanzi alla Commissione Regionale, se dovesse essere condannata l’AF, il tributo corrisposto in eccedenza dovrà essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza (art. 68, secondo comma, D.Lgs. n. 546/1992). Sul punto occorre, inoltre, segnalare la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 49/2010 con la quale si sono esortate le Direzioni provinciali o regionali ad eseguire, nel più breve tempo possibile, i rimborsi stabiliti in sentenza al fine sia di evitare giudizi di ottemperanza o procedure di esecuzione forzata sia di ridurre gli oneri per interessi.
d. per i crediti relativi all’imposta sul valore aggiunto: tale obbligo è disciplinato dall’art. 54 bis del DPR n. 633/1972.
3. RIMBORSO SU ISTANZA
I rimborsi su istanza dell'interessato, vengono eseguiti per tutte le ipotesi di versamenti in autotassazione non dovuti o, comunque, fatti in eccedenza rispetto a quanto dovuto.
Invero, in questi casi, ai fini di un rimborso delle maggiori somme versate, è necessaria di regola una domanda specifica del contribuente (non inserita nella dichiarazione annuale), che deve essere presentata, a pena di decadenza, entro un determinato termine dal versamento.
Le situazioni più comuni che possono dar luogo ad un’istanza di rimborso sono quelle di effettuazione da parte del sostituto d’imposta di ritenute alla fonte a titolo d’imposta non dovute (in tal caso, non essendo il contribuente tenuto a dichiarare tali redditi, l’AF non può procedere d’ufficio al rimborso delle stesse) e di versamento di una maggiore imposta a seguito dalla mancata detrazione dall’imposta netta dell’acconto già versato (in relazione al quale non si è neanche provveduto ad indicare in dichiarazione gli estremi del versamento) o della mancata indicazione in dichiarazione di oneri detraibili e deducibili.
3.1 Modalità e termini di presentazione dell’stanza
L’istanza di rimborso (da presentarsi, dunque, nelle ipotesi in cui non sia previsto il rimborso d'ufficio o lo stesso non sia stato esperito per vari motivi) ai fini della sua validità deve essere presentata a mano o notificata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente in base al domicilio fiscale del soggetto richiedente (o, per le imposte indirette, all’ufficio dove è stato registrato l’atto o la successione). Tuttavia è bene precisare che la sent. n. 4773/2009 della Corte di Cassazione ha affermato che l’istanza di rimborso di imposte rivolta ad un ufficio sbagliato è comunque sempre valida e che in tali circostanze è, altresì, compito del predetto ufficio trasmettere la richiesta all’ufficio competente. Con la suddetta sentenza è stato, dunque, chiarito che l’istanza presentata ad un ufficio incompetente è atto idoneo ad impedire la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso e a formare il silenzio rifiuto indispensabile per proporre ricorso innanzi alle Commissioni tributarie. In tal caso, infatti, se l’ufficio incompetente non trasferisce l’istanza a quello competente, si forma il predetto silenzio- rifiuto senza che il contribuente sia tenuto a proporre un’altra istanza per poter impugnare il rifiuto tacito (Cass. sent. n. 4773/2009); di fatto, l’ufficio incompetente dovrà sempre trasmettere a quello competente le eventuali istanze di rimborso ricevute, anche se rivolte ad un’Agenzia piuttosto che ad un’altra, poiché tutte facenti parte di un unico organismo nazionale.
In ogni caso, per evitare eccezioni procedurali da parte degli uffici, è consigliabile prestare la massima attenzione al momento di presentazione dell’istanza di rimborso da indirizzare all’organo competente, nel rispetto delle singole leggi d’imposta.
L’istanza di rimborso deve, inoltre, essere redatta su carta semplice e deve contenere i dati anagrafici e l’attività svolta dal richiedente, le indicazioni in merito alla data, alla natura (saldo o acconti) e all’anno di imposta dei versamenti di cui si chiede il rimborso, allegandone anche, per sicurezza una copia; inoltre, per essere presa in considerazione deve contenere la ragione della richiesta di rimborso e la certificazione dei pagamenti effettuati.
Peraltro, recentemente la Suprema Corte di Cassazione con la sent. 21400/2012 si è occupata dei suindicati requisiti essenziali che devono essere contenuti nell’istanza al fine di ottenere il rimborso ai sensi dell’art. 38 DPR 600/73 e dell’art.21 del d.lgs 546/92. A tal proposito, gli Ermellini hanno affermato il principio di diritto in base al quale le istanze di rimborso prive di elementi minimi essenziali, quali gli estremi del versamento nonché gli importi chiesti in restituzione, " (...) non possono considerarsi giuridicamente valide e non sono, dunque, idonee alla formazione del silenzio-rifiuto impugnabile, in quanto non consentono di valutare la fondatezza o meno della richiesta; né tale vizio è sanabile con il successivo deposito di documenti, atti a colmare le lacune predette, deposito che è comunque tardivo, in quanto intervenuto nel corso di un procedimento che non avrebbe dovuto neppure essere iniziato". Per tale ragione è dunque fondamentale che il contribuente, nel compilare l’istanza di rimborsi (al fine di evitare eccezioni e contestazioni da parte degli Uffici) faccia molta attenzione ad inserire i suindicati elementi essenziali (come il quantum da rimborsare e l’entità dei singoli versamenti).
Ciò posto, va chiarito che ai fini della sua validità, l’istanza di rimborso deve essere presentata all’Agenzia delle Entrate entro un determinato periodo di tempo, infatti, in tutti i casi in cui il contribuente dovesse presentare l'istanza oltre i termini stabiliti, il relativo rimborso sarà dichiarato illegittimo. Sul punto occorre, inoltre, precisare che non essendo stata prevista dal legislatore una disciplina generale per i rimborsi, per ciascun tributo è necessario fare di volta in volta riferimento a specifiche disposizioni normative. In questa sede è, dunque, fondamentale chiarire che:
1. l’art. 21 D.lgs 546/92 prevede che in mancanza di disposizioni specifiche, la richiesta di rimborso debba essere inoltrata entro due anni dal pagamento dell’imposta, o se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione, come nel caso di accertamento divenuto definitivo per mancata impugnazione nei termini o per acquiescenza, nonché nei casi di accertamento con adesione o conciliazione. In definitiva, l’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, rappresenta senz’altro una norma residuale e di chiusura del sistema.
Ne costituiscono un esempio l'IVA (artt. 30 e 38-bis DPR n. 633/72 e successive modifiche ed integrazioni) a credito che viene recuperata riportandola al periodo d'imposta successivo ed anche il riconoscimento delle agevolazioni fiscali (l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 1/E del 03/01/2005, ha, infatti, chiarito che per il rimborso delle maggiori imposte pagate, il contribuente deve presentare l’istanza all’ufficio tributario competente entro due anni dal giorno in cui è sorto il diritto alla restituzione, cioè al momento del passaggio in giudicato della sentenza che ha riconosciuto il diritto all’agevolazione fiscale);
2. gli artt. 37 (relativo alle ritenute dirette) e 38 (relativo ai versamenti diretti) D.P.R. 602/73, prevedono, in caso di imposta sui redditi, che il contribuente, che, "per errore materiale, duplicazione o inesistenza parziale o totale dell’obbligazione tributaria o dell’obbligo di versamento, abbia effettuato un versamento diretto o abbia subito ritenuta alla fonte non dovuti in misura inferiore, possa presentare, entro quattro anni (nel caso delle ritenute alla fonte decorrenti dalla data del pagamento del relativo compenso, mentre nel caso delle imposte dirette, decorrenti dalla data del versamento) l’istanza finalizzata a chiedere il rimborso delle maggiori somme versate[3]. In sostanza, l’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 in tema di rimborso delle imposte sui redditi, stabilisce il dies a quo nella "data del versamento" o in quella "in cui la ritenuta è stata operata";
3. ai fini dell'imposta di registro, dell'imposta sulle successioni e donazioni, dell'Invim e delle imposte ipotecaria e catastale l'istanza di rimborso deve essere presentata, a pena di decadenza, entro 36 mesi dal giorno del pagamento ovvero, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione.
In definitiva, laddove il contribuente dovesse decidere di chiedere i rimborsi fiscali, dovrà rispettare tassativamente i termini di decadenza suindicati, altrimenti seppur dovuto e legittimo, perderà il diritto al rimborso.
A tal proposito, è opportuno citare anche l’importante sent. n. 13676/2014[4] della Corte di Cassazione a Sezioni Unite con cui (nel tentativo di dirimere un contrasto circa il termine da cui far decorre il diritto di rimborso per una imposta dichiarata, dalla Corte di Giustizia europea, palesemente in contrasto con il diritto comunitario) è stato ulteriormente chiarito che in caso di imposta dichiarata incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia in epoca successiva al versamento, il termine di decadenza per l’esercizio del diritto di rimborso, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 602/73, dovrà farsi decorrere dalla data del suddetto versamento e non da quella della sentenza della Corte di giustizia che lo ha dichiarato illegittimo retroattivamente.
DOMANDA DI RIMBORSO
TERMINE DI DECADENZA
Iva e agevolazioni fiscali
24 mesi
Imposte sui redditi (Irpef, Ires e imp. sostitutive)
48 mesi
Versamenti diretti
48 mesi
Ritenute operate dal sostituto d’imposta e ritenute dirette operate dallo Stato e da altre P.A.
48 mesi
Imposte indirette (registro, successioni e donazioni, bollo, invim, ecc.)
36 mesi
In definitiva, l’istanza presentata oltre i termini sarà ritenuta inefficace ed, inoltre, in relazione ad essa il contribuente non potrà in nessun modo proporre un eventuale ricorso.
4. REAZIONE DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
Conclusa la fase relativa all’inoltro delle richiesta, a seconda del comportamento dell’AF, potranno verificarsi le seguenti ipotesi:
a. Accoglimento dell’istanza: in questo caso si procederà alla regolare erogazione del rimborso mediante ordinativo di pagamento.
b. Rigetto dell’istanza: nelle ipotesi di rigetto espresso della domanda, l’AF invierà al contribuente una comunicazione contenente succintamente le motivazioni del diniego. Il contribuente sarà a quel punto libero, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento, di impugnare il provvedimento di rigetto e di proporre, così, ricorso[5] alla competente Commissione tributaria provinciale.
c. Accoglimento parziale (e, conseguentemente, c.d. "silenzio rifiuto parziale"): in queste ipotesi, il contribuente potrà impugnare il provvedimento di rigetto parziale, entro 60 giorni dalla sua notifica, dinanzi alla competente Commissione tributaria.
Invero, qualora l’AF dovesse accogliere solo parzialmente l’istanza di rimborso del contribuente (rivolta ad ottenere lo sgravio e rimborso di un tributo iscritto a ruolo) il relativo provvedimento, ove dovesse evidenziare la volontà di negare tale rimborso per l’altra parte del tributo, integrerà un rigetto implicito, sempre impugnabile davanti alle Commissioni tributarie, ai sensi e nel termine di cui agli artt. 19, 20 e 21 del D.Lgs. n. 546/92, decorrente dalla data di notifica del provvedimento, senza che sia possibile proporre tale impugnativa rispetto ad una seconda e successiva istanza di rimborso, non prevista, in particolare, dalla norma contenuta nell’art. 38 DPR n. 602/73 (in tal senso, Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n. 12804 del 03/09/2002 e Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza n. 8339 del 12/11/1987).
Inoltre, con la recente sentenza n. 8195/2015, i giudici di legittimità hanno, più specificamente, chiarito che "In tema di contenzioso tributario, qualora, a fronte di una istanza di rimborso d'imposta, l'Amministrazione finanziaria si limiti ad emettere un provvedimento di rimborso parziale, senza evidenziare alcuna riserva o indicazione nel senso di una sua eventuale natura interlocutoria, il provvedimento, per la parte relativa all'importo non rimborsato, ha valore di rigetto - sia pure implicito - della richiesta originariamente presentata dal contribuente. Ne consegue che detto provvedimento costituisce atto impugnabile quale rifiuto espresso, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione, ai sensi degli artt. 19 e 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ed è improponibile una seconda istanza di rimborso per il mancato accoglimento integrale della prima, con conseguente inidoneità della stessa alla formazione di un silenzio-rifiuto impugnabile". In sostanza con la sentenza n. 8195/2015 la Corte di Cassazione è tornata a ribadire da un lato, la natura di atto di rigetto del rimborso parziale per la parte non rimborsata e dall’altro, la possibilità per chi volesse opporsi di provvedere alla tempestiva impugnazione senza presentare, però, un’ulteriore istanza del medesimo credito.
d. "Silenzio-rifiuto totale": in questo caso si determina un vero e proprio provvedimento di segno negativo (la cui successiva impugnazione dovrà, pertanto, essere finalizzata ad accertare l’illegittimità dell’inadempimento dell’AF). Di fatto, in queste ipotesi, quando non viene emessa alcuna decisione e trascorsi almeno 90 giorni dalla presentazione della domanda di restituzione, il contribuente potrà ricorrere dinanzi alla competente Commissione tributaria e proporre ricorso (art. 19, comma primo, lett. g), D.Lgs. n. 546/1992) fino a quando il diritto stesso non si sarà prescritto nel termine decennale di cui all’art.2946 c.c.[6].
In questi casi, infatti, il termine per opporsi va da un minimo di 90 giorni dalla data della presentazione dell’istanza, fino al termine decennale previsto per la prescrizione.
Ciò posto, dunque, se l’AF dovesse assumere un comportamento inerte nel procedere d’ufficio al rimborso, il contribuente potrà comunque presentare un ricorso entro il termine di dieci anni; il diritto al rimborso si prescrive, infatti, in dieci anni decorrenti dalla presentazione della dichiarazione contenente la richiesta di rimborso. Sul punto è anche intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con la sent. n. 7706/2013 chiarendo che "in tema di imposte sui redditi, qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito di imposta, l'azione volta al relativo recupero è sottoposta all'ordinario termine di prescrizione decennale, sulla cui decorrenza non incidono né il limite temporale stabilito per il controllo formale o cartolare delle dichiarazioni e la liquidazione delle somme dovute, ai sensi dell'art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, né i limiti alla proponibilità della relativa eccezione, posti dall'art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350: la prima disposizione è volta, infatti, ad imporre un obbligo dell'Amministrazione finanziaria, senza stabilire un limite all'esercizio dei diritti del contribuente, mentre la seconda contiene un mero invito rivolto agli uffici, non suscettibile di applicazione diretta da parte del giudice"(sul punto cfr anche sent. Cass. SS UU n. 2687/2007; Cass. sent. n.2009/ 9524).
In definitiva, nel caso in cui la domanda dovesse essere presentata tardivamente, l'Agenzia potrà opporre la prescrizione del credito e, quindi, l'insussistenza dei motivi alla base della richiesta di rimborso presentata dal contribuente.
Laddove, invece, a seguito di rigetto o "silenzio-rifiuto" (parziale o totale), il contribuente dovesse decidere di proporre ricorso e lo stesso dovesse essere accolto, il rimborso avverrà secondo modalità differenti, in base alla natura dei relativi versamenti:
1. Versamenti diretti e ritenute: in queste ipotesi il rimborso sarà eseguito solo dopo il passaggio in giudicato del provvedimento di accoglimento del ricorso (artt. 37 co. 3 e 38 co. 4 DPR 602/73) . Invero, nei trenta giorni successivi al passaggio in giudicato, la direzione regionale delle entrate provvederà ad emettere l’ordinativo di pagamento.
2. Imposte iscritte a ruolo: ex artt. 14 e 15 DPR 602/73, in questo caso gli uffici finanziari sono tenuti ad effettuare il rimborso entro 90giorni dalla notificazione delle sentenze che hanno riconosciuto non dovute, anche solo parzialmente, le somme iscritte a ruolo, a titolo definitivo o provvisorio. In questi casi il rimborso deve essere eseguito anche se la decisione favorevole al contribuente non è ancora passata in giudicato. Inoltre, le medesime procedure si applicano per i rimborsi di sanzioni pagate dai rappresentanti di società e in seguito riconosciute non dovute.
3. Imposte non dovute ai sensi dell’art. 26quater del D.P.R. 600/73 :quando il rimborso è richiesto dalle società non residenti o da stabili organizzazioni, deve essere effettuato entro un anno dalla data di presentazione della richiesta stessa (art. 38, co. 6, D.P.R. 602/73).
4. IVA: il rimborso deve essere richiesto dal contribuente in sede di dichiarazione annuale e deve essere effettuato entro tre mesi dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione. Il contribuente può inoltre ottenere il rimborso in relazione a periodi inferiori all’anno. In tale ipotesi la richiesta di rimborso va presentata alla competente Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate, esclusivamente per via telematica (art. 8, co. 2, D.P.R. 542/99).
5. IL DISCONOSCIMENTO DEL RIMBORSO DEL CREDITO D’IMPOSTA DA PARTE DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA ALLA LUCE DELLA SENTENZA DELLA S.C. A SS.UU N.5069/2016
A questo punto è importante, però, anche cercare di capire entro quali termini l’AF può intervenire nel tentativo di procedere al disconoscimento dei rimborsi de quo.
Invero, sul punto e con specifico riferimento alla richiesta di rimborso riportata nella dichiarazione annuale, si sono susseguiti di recente diversi interventi e orientamenti della Suprema Corte di Cassazione che, in questa sede, è assolutamente fondamentale analizzare:
a. Ebbene, con un primo intervento la Suprema Corte di Cassazione, con la sent. n. 2918/2010 è intervenuta sulla questione chiarendo (successivamente anche con la sent. n. e 11444/2011) che il Fisco può accertare e negare il rimborso richiesto in dichiarazione anche oltre il termine decadenziale previsto per l’esercizio dell’azione accertatrice, stante la possibilità riconosciuta al contribuente di esercitare il suo diritto ad ottenere il rimborso nell’ordinario termine di prescrizione decennale e non nei termini previsti dall’art.38 D.P.R. 602/73.
b. In maniera del tutto opposta, la Corte di Cassazione è poi nuovamente intervenuta con la sent. n.9339/2012 (ed implicitamente anche con la sent. n. 2277/2016) chiarendo, inequivocabilmente, che il rimborso delle imposte dirette diventa, invece, "automatico" decorsi gli ordinari termini previsti per l’accertamento: in sostanza, nel 2012, i giudici di legittimità hanno stabilito che se l’AF non dovesse adottare la particolare procedura di liquidazione e, al contempo, dovesse far decorrere i termini previsti per operare una rettifica o un accertamento, il credito del contribuente si consoliderà alla data di scadenza dei normali termini previsti per l’accertamento stesso. Pertanto, nelle ipotesi in cui il contribuente dovesse inserire la richiesta di un credito d’imposta nella dichiarazione annuale, l’AF sarà tenuta a provvedere sulla richiesta di rimborso entro, e non oltre, il termine di decadenza previsto per procedere all’accertamento in rettifica. Di fatto, secondo la Suprema Corte "qualora il contribuente abbia presentato la dichiarazione annuale, ai fini di una imposta, esponendo un credito di rimborso, la Amministrazione finanziaria è tenuta a provvedere sulla richiesta di rimborso, salvo diversa espressa previsione normativa, nei medesimi termini di decadenza stabiliti per procedere all'accertamento in rettifica. Diversamente, decorso il termine predetto, senza che sia stato adottato alcun provvedimento da parte della P.A., il diritto al rimborso esposto nella dichiarazione si cristallizza nell'an e nel quantum, ed il contribuente potrà agire in giudizio a tutela del proprio credito nell'ordinario termine di prescrizione dei diritti, rimanendo preclusa all'Amministrazione finanziaria ogni contestazione dei fatti che hanno originato la pretesa di rimborso, salve le eccezioni volte a fare valere i fatti sopravvenuti impeditivi, modificativi, od estintivi del credito".
In sostanza, con la sent. n.9339/2012, è stato affermato che trascorso il termine entro cui poter esercitare l’accertamento (ossia entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi ex art. 43 D.P.R. 600/1973), la richiesta di rimborso diventa definitiva con la possibilità per il contribuente di agire in giudizio (nell’ordinario termine di prescrizione: dieci anni dalla formazione del silenzio rifiuto, che si ha decorsi 90 giorni dalla presentazione della dichiarazione) per la tutela del proprio credito, restando preclusa all’Amministrazione la possibilità di contestare i fatti che avevano originato la richiesta. Il medesimo principio è stato poi successivamente confermato anche da altre Commissioni Tributarie (cfr. CTP Milano sent.n.1784/2014). Ciò posto, rilevata l’evidente sussistenza di orientamenti contrapposti in seno alla Suprema Corte di Cassazione, con ord. n.23529/2014, si è ritenuto opportuno far valutare la questione alle Sezioni Unite.
c. Ebbene, la Suprema Corte di Cassazione a SS. UU. con la sent. n.5069/2016, (condividendo il primo orientamento del 2010-2011) nel tentativo di dirimere l’ormai evidente contrasto giurisprudenziale è intervenuta chiarendo che la spettanza di un credito chiesto a rimborso in dichiarazione può essere disconosciuta dal Fisco anche oltre i termini ordinari di decadenza del potere di accertamento (e cioè oltre il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi).
Invero, secondo il Collegio, "appare preferibile la soluzione (...) secondo cui i termini decadenziali in questione sono apposti solo alle attività di accertamento di un credito della Amministrazione e non a quelle con cui la Amministrazione contesti la sussistenza di un suo debito. Ancorchè simile soluzione susciti una certa disarmonia nel sistema in quanto, decorso il termine per l'accertamento, alla Amministrazione viene consentito di contestare il contenuto di un atto del contribuente solo nella misura in cui tale contestazione consente alla Amministrazione di evitare un esborso e non invece sotto il profilo in cui la medesima contestazione comporterebbe la affermazione di un credito della Amministrazione". Ma vi è di più, perché a parere del Collegio la soluzione in questione "non lascia senza difesa il contribuente che ben può impugnare il silenzio della Amministrazione che non dia seguito alla istanza di rimborso, ottenendo sul punto una pronuncia giudiziale". Secondo tale ricostruzione, di fatto, il contribuente non rimarrebbe comunque privo di difesa, ben potendo impugnare il silenzio dell’Amministrazione che non abbia dato seguito all’istanza di rimborso, ottenendo sul punto una pronuncia giudiziale.
Ebbene, in questo modo, è evidente come i giudici di legittimità abbiano voluto sancire un principio secondo cui i termini decadenziali del potere di accertamento siano validi solo ai fini dell’accertamento di un credito dell’AF e non anche per la contestazione della sussistenza di un suo debito. Più specificamente, si tratterebbe, secondo gli Ermellini, di un’applicazione del principio secondo cui "quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum" ("esistono termini temporali per agire, mentre non esistono affatto per eccepire") di cui all’art. 1442 c.c. secondo cui l’annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto anche se prescritta l’azione per farla valere. Questa disciplina privatista è però estranea al diritto tributario che si fonda sul potere dell’AF e sul suo rapporto con il contribuente.
Ciò posto, a parere degli scriventi, quest’ultima interpretazione appare tutt’altro che condivisibile. Molte sono, infatti, le conseguenze negative che da questa esposizione potrebbero ricadere in capo al contribuente e al suo diritto a ottenere la restituzione di un suo legittimo credito. La possibilità di impugnare il provvedimento di diniego dinanzi al giudice tributario non risulta, infatti, di per sé idonea e sufficiente a tutelare il suo diritto di difesa perché nel contempo, implicitamente, questo determinerebbe l’incertezza del proprio diritto sino alla sentenza definitiva.
In conclusione, appare evidente come i giudici di legittimità abbiano previsto un trattamento procedurale differente a seconda che si tratti di un credito del contribuente, piuttosto che del Fisco; di fatto a quest’ultimo, a differenza del contribuente, si sono concessi ampi margini di tempo e ampia discrezionalità laddove dovesse contestare un proprio debito. Al Fisco, in questo modo, è stato concretamente consentito di contestare il contenuto di un atto del contribuente solo nella misura in cui, tale contestazione, gli consenta di evitare un esborso e non invece l’affermazione di un suo debito.
Di fatto, in questo modo, è stata riconosciuta all’AF la possibilità di opporre tardivi provvedimenti di diniego e di esercitare il proprio potere impositivo oltre i termini di decadenza previsti dalle norme tributarie per l'esercizio dei predetti poteri amministrativi.
È, dunque, venuta meno la relazione di reciprocità necessaria tra l’esercizio del diritto di rimborso del contribuente e l’esercizio della potestà impositiva della PA; nel contempo, sembra leso anche il principio di buona fede e collaborazione che deve improntare i rapporti tra contribuenti e Fisco (art. 10 co 1 legge n. 212/2000) oltre che il fondamentale principio di certezza dei rapporti giuridici che passa anche, e soprattutto, attraverso il fondamentale rispetto dei termini ragionevoli specificamente previsti per l’esercizio di un diritto[7]. Non è comprensibile come possa concedersi al Fisco (trascorsi più di cinque anni dalla presentazione della dichiarazione[8]) la possibilità di formulare senza limiti di tempo le dovute contestazioni relative ad un suo debito.
In definitiva a parere degli scriventi, consentire all’AF di postergare sine die il provvedimento in merito al rimborso, non può far altro che determinare un’ingiustificata e incomprensibile incertezza nella definizione del rapporto tra Fisco e contribuente.
IL DISCONOSCIMENTO DEL RIMBORSO DEL CREDITO D’IMPOSTA ALLA LUCE DEI RECENTI CONTRASTI GIURISPRUDENZIALI.
a. Corte di Cassazione sentt. nn. 2918/2010 e 11444/2011: gli Ermellini con le pronunce in oggetto, hanno stabilito che il Fisco può negare il rimborso richiesto in dichiarazione anche oltre il termine decadenziale previsto per l’esercizio della funzione impositiva.
b. Corte di Cassazione sent. n.9339/2012: (ed implicitamente anche sent. n. 2277/2016): i giudici di legittimità con questa sentenza hanno, invece, statuito che se il contribuente ha chiesto il rimborso di un credito d’imposta attraverso la presentazione della dichiarazione annuale, l’Amministrazione può nel merito disconoscerne la spettanza entro il termine di decadenza per l’esercizio della funzione impositiva ex art. 43 D.P.R. 600/1973. In caso contrario, decorso tale termine senza che sia stato adottato alcun provvedimento di diniego, il diritto al rimborso non è più contestabile e il contribuente potrà agire in giudizio a tutela del proprio credito nell’ordinario termine di prescrizione dei diritti (dieci anni dal diniego espresso o tacito).
c. Corte di Cassazione a SS. UU. sent. n.5069/2016: in conclusione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, riprendendo quando già sancito con le pronunce del 2010 e 2011, hanno chiarito il principio secondo cui, nell’ipotesi di istanza di rimborso riportata nella dichiarazione annuale, il Fisco può opporre il diniego anche oltre il termine decadenziale previsto per l’esercizio della funzione impositiva, stabilendo così, conseguentemente, che tali termini rilevano ai soli fini della pretesa erariale e non anche per far valere la sussistenza di un credito in capo al contribuente.
Lecce, 20/04/2016
Avv. Maurizio Villani
Avv. Federica Attanasi
[1] In queste circostanze, in suo favore si realizza un vero e proprio credito, che starà al lui decidere di soddisfare mediante la compensazione o il rimborso.
[2] Per i crediti di importi non superiori a 1.000 euro (interessi compresi) il contribuente viene, invece, invitato a recarsi presso gli uffici postali per riscuotere la somma in contanti.
[3] Queste disposizioni si applicano alle sole imposte sui redditi (art. 19 D.Lgs. 46/99)
[4] Con la sentenza in oggetto gli Ermellini hanno, altresì, chiarito che nella particolare ipotesi dei rimborsi degli acconti il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso, con riferimento ai versamenti in acconto, decorre dal versamento del saldo nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un’eccedenza dei versamenti in acconto, rispetto a quanto risulti dovuto a saldo oppure qualora derivi da pagamenti cui inerisca un qualche carattere di provvisorietà, poiché subordinati alla successiva determinazione, in via definitiva, dell’obbligazione o della sua misura.
Invece, decorre dal giorno del versamento dell’acconto stesso nel caso in cui quest’ultimo, già al momento in cui venne eseguito, non fosse dovuto o non lo fosse nella misura in cui fu versato, ovvero qualora fosse inapplicabile la disposizione di legge in base alla quale venne effettuato, poiché in questi casi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sorge sin dal momento in cui avviene il pagamento.
A tal proposito, si citano le sentenze della Corte di Cassazione n. 56 del 2000, n. 4282, n. 7926 e n. 14145 del 2001, n. 21557 del 2005, n. 13478 del 2008, n. 4166 del 2014.
[5] Sul punto si segnala la recente riforma del processo tributario, ex D.Lgs. n. 156/2015, entrata in vigore il 01.01.2016. Si veda in proposito G. Diretto, M. Villani, I. Lamorgese, I. Pansardi, A. Rizzelli, A. Villani, "I GRADI DI GIUDIZIO DEL NUOVO PROCESSO TRIBUTARIO", Maggioli Editore 2016
[6]La prescrizione decennale inizia a decorrere dal momento in cui le ritenute sono state operate o dal momento in cui il versamento è stato eseguito.
[7] "La fissazione di termini ragionevoli a pena di decadenza risponde, in linea di principio, al principio di effettività in quanto costituisce l’applicazione del fondamentale principio della certezza del diritto" (Corte Giustizia UE sentenza 16 maggio 2000).
[8] È bene ricordare che la questione oggetto delle sentenze in commento non attiene alla domanda di rimborso ex art.38 del D.P.R. 602/73, in tale ipotesi infatti vale il termine di 48 mesi dal pagamento previsto dalla norma per la presentazione dell’istanza di rimborso, nonché gli ordinari termini decadenziali del Fisco ex art.43 del DPR 600/73 per opporre il rifiuto a tale istanza.
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