Reati tributari
Nella vicenda in questione, il Tribunale di Brindisi aveva dichiarato due amministratori di una società responsabili del reato di cui agli artt. 81, 110 c.p. e art. 10 del Decreto Legislativo n. 74/2000 perchè, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultavano e/o distruggevano la documentazione contabile, allo scopo di non consentire la ricostruzione dell’effettivo volume di affari e del reddito di impresa relativo a vari anni di imposta.
A seguito degli appelli proposti dai pervenuti, la Corte di Appello di Lecce, ritenendo il fatto di non particolare gravità, riduceva la pena di entrambi gli amministratori.
Uno degli amministratori ha, poi, proposto ricorso per Cassazione per violazione dell’art. 420 ter c.p.p., in quanto il processo si era celebrato in assenza del difensore nonostante lo stesso aveva chiesto un rinvio per impossibilità a partecipare all’udienza; violazione dell’art. 649 c.p.p., in relazione ad altra sentenza la cui copia era stata già versata in atti di causa; violazione dell’art. 192 c.p.p., erronea valutazione delle emergenze istruttorie ed immotivata esclusione della chiesta acquisizione della sentenza della CTP di Brindisi.
Ebbene, nonostante le innanzidette eccezioni formulate, i giudici di legittimità hanno dichiarato il ricorso inammissibile ed infondato.
In particolare, in relazione alla eccezione di violazione dell’art. 649 c.p.p., la Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato, in quanto la sentenza prodotta in giudizio dalla difesa non costituiva un precedente utilizzabile al fine di sostenere la esistenza di un’ipotesi di ne bis in idem.
Questo perché le condotte e le fattispecie di reato richiamate in tale sentenza, nella quale l’imputato era accusato del delitto di cui agli artt. 110, 81 c.p. e 5 del D.Lgs. n. 74/2000 (omessa dichiarazione) differivano da quelle oggetto del procedimento in Cassazione, riguardante il reato di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000 (occultamento o distruzione di documenti contabili).
Nello specifico, la Suprema Corte ha osservato come <<ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem" l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo di luogo e di persona (Cass. S.U. 28/9/2005, n. 34655; Cass. 5/5/2006, n. 15578); corrispondenza, nella specie, giustamente non ravvisata dal giudicante, visto che la violazione in relazione alla quale è stata resa dal Tribunale di Brindisi nei confronti del G la sentenza del 29/4/2010, n. 341, risulta del tutto distinta ed autonoma, sia sul piano naturalistico che su quello giuridico, rispetto a quella dedotta nel presente giudizio.>>.
Lecce, 24 ottobre 2014
Avv. Maurizio Villani
Avv. Alessandra Rizzelli
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