Il giudice dell’esecuzione decide sulla legittimità di possibili vizi

Indice:
1. Premessa
Nel presente contributo verrà analizzata l’ordinanza n. 7822 della Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, pronunciata il 14 Aprile 2020, che ha enucleato dei principi di diritto per dirimere il contrasto relativo all’individuazione della giurisdizione competente, tributaria o ordinaria, in ipotesi di esecuzione forzata tributaria.
Precisamente, secondo il Supremo Consesso, alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione di ogni questione con cui si reagisce in relazione all’atto esecutivo, adducendo fatti incidenti sulla pretesa tributaria che si assumono verificati fino alla notificazione della cartella o dell’intimazione di pagamento o fino al momento dell’atto esecutivo; mentre rientra nella cognizione del giudice ordinario la cognizione delle questioni relative alla forma e alla legittimità formale dell’atto esecutivo.
I giudici di legittimità, prima di giungere all’enunciazione di tali principi ermeneutici, hanno posto alla base del proprio iter logico quanto affermato in precedenza dalla Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con l’ordinanza n.13913/2017 e, altresì, dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 114/2018(quest’ultima, in particolare, ha un valore pregnante, atteso che ha attuato delle recenti modifiche al complesso quadro normativo che regola l’individuazione della competenza del giudice tributario e di quello ordinario in materia di esecuzione).
Il dettato normativo di riferimento, ossia il D.lgs. n.546/1992, all’art. 2, esclude dalla competenza delle Commissioni tributarie tutte le questioni, successive alla notifica della cartella di pagamento, afferenti l’esecuzione forzata.
Di converso, tali limitazioni di giurisdizione, sono compensate dal disposto normativo dell’art. 19 del D.lgs. n. 546/1992, recante un elenco (suscettibile di interpretazione estensiva) di atti impugnabili innanzi al Giudice tributario.
Per maggior completezza e chiarezza espositiva, si riportano di seguito gli articoli di riferimento.
Articolo 2 Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all' articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica. 2. Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale. Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni. 3. Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio. |
Articolo 19 Decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 1. Il ricorso può essere proposto avverso: a) l'avviso di accertamento del tributo; b) l'avviso di liquidazione del tributo; c) il provvedimento che irroga le sanzioni; d) il ruolo e la cartella di pagamento; e) l'avviso di mora; e bis) l'iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all'articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni; e ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all'articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni. f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'art. 2, comma 2; (2) g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti; h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie. 2. Gli atti espressi di cui al comma 1 devono contenere l'indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della commissione tributaria competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell'art. 20. 3. Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo. |
2. Cass. S.U. n. 7822/2020: sulla illegittimità del pignoramento presso terzi per la sussistenza di possibili vizi formali decide il giudice dell'esecuzione
Come rilevato in premessa, l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 7822 del 14.04.2020 ha completato il principio espresso in precedenza dalla sentenza delle stesse Sezioni Unite, n. 13913/2017, secondo cui la competenza del giudice tributario, nella fase dell’esecuzione forzata tributaria, ricade solo sulle impugnazioni aventi ad oggetto atti dell’esecuzione forzata (come il pignoramento) che non sono preceduti da una valida notifica della cartella di pagamento o dell’intimazione di pagamento, ovverossia quando l’atto dell’esecuzione tributaria è il primo atto della pretesa tributaria conosciuto dal contribuente.
Invero, i giudici di legittimità hanno espresso il seguente principio di diritto: “Sulla illegittimità del pignoramento presso terzi per la sussistenza di possibili vizi formali decide il giudice dell'esecuzione. Successivamente, solo se necessario, interverrà il giudice tributario per la valutazione nel merito della pretesa. In tema di giurisdizione, per il pignoramento presso terzi, priorità al giudice dell'esecuzione mentre la commissione tributaria interviene in via subordinata”.
2.1. Il caso
Il caso in esame trae origine da un conflitto di giurisdizione sorto su un atto di pignoramento presso terzi su istanza dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Più nel dettaglio, tale provvedimento esecutivo era stato notificato a un’impresa a seguito del mancato pagamento di due cartelle per canoni su concessioni demaniali.
L’impresa ricorreva dinanzi al Giudice dell’Esecuzione eccependo, in primo luogo, l’inammissibilità di tale provvedimento atteso che il soggetto indicato come terzo pignorato era inesistente a seguito della cancellazione delle società del gruppo dal registro delle imprese; in secondo luogo, nel merito, l’impresa ricorrente, rilevava la nullità dell’atto di pignoramento per il venir meno dei due titoli presupposti nelle due cartelle esattoriali.
Il giudice dell’esecuzione declinava la propria competenza, in quanto l’impresa opponente lamentava la nullità della notifica delle cartelle di pagamento e, pertanto, la controversia doveva essere devoluta dinanzi alla Commissione tributaria.
Dall’altra parte, la CTP adita, riteneva che, nel caso di specie, l’impresa ricorrente avesse avuto già contezza della pendenza della pretesa tributaria e, pertanto, contrariamente a quanto deciso dal Tribunale di Roma, la cognizione della controversia doveva essere riservata alla giurisdizione del giudice ordinario.
Per tale ragione, per dirimere tale contrasto in tema di giurisdizione, il giudice tributario rimetteva gli atti alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione.
2.2. Iter motivazionale dell’ordinanza
La Suprema Corte, prima di giungere all’enunciazione del principio di diritto, ha ripercorso l’excursus giurisprudenziale in materia di delimitazione della giurisdizione del giudice tributario e ordinario.
In via preliminare, però, il Supremo Consesso, ritenendo opportuno evidenziare che assumesse rilevanza l’ordine con cui le domande erano state poste da parte attrice dinanzi al giudice ordinario, ha rilevato che “quando vengono proposte domande con nesso di subordinazione, in sede di esame delle domande il giudice adito deve interrogarsi e decidere sulla giurisdizione con riferimento alla domanda proposta in via pregiudiziale, atteso che la questione di giurisdizione sulla domanda subordinata può venire in rilievo solo quando egli abbia deciso sulla domanda pregiudiziale in modo da rendere necessario, in conformità alla richiesta della parte e, dunque, restando sciolto il nesso di subordinazione, l'esame della domanda subordinata. Il che accade se la domanda principale venga rigettata nel merito o per ragioni di rito (e, in questo secondo caso, la decisione lasci la controversia per la domanda subordinata davanti al giudice adito, in quanto il processo non si chiuda davanti al giudice per effetto della pronuncia di rito)".
Ciò posto, a parere dei giudici di legittimità, si deve ritenere che: "poiché lo strumento del conflitto è diretto a determinare in modo vincolante fra le parti la giurisdizione, il potere di regolare la giurisdizione si debba esercitare da parte delle Sezioni Unite prescindendo dal nesso di subordinazione, cioè con riferimento a tutto il cumulo di domande, giacché sussiste l'esigenza di assicurare che la questione di giurisdizione sia risolta una volta per tutte sull'intera controversia e considerato che l'esercizio del potere delle Sezioni Unite può e deve avvenire senza che esse sciolgano, contro la volontà dell'attore, il nesso di subordinazione, di modo che Esse debbono rimettere le parti davanti alla giurisdizione riconosciuta esistente sulla domanda principale e dichiarare eventualmente quella di un altro giudice sulle domande subordinate. Ma ciò solo subordinatamente allo scioglimento, con la sua decisione, del nesso di subordinazione da parte del giudice della giurisdizione dichiarata sulla domanda principale".
Nel caso di specie il Tribunale di Roma aveva declinato la giurisdizione su tutte le domande senza prendere posizione sul nesso di subordinazione né espressamente né implicitamente e, allo stesso modo, aveva operato il giudice tributario.
Ciò posto, il Collegio, passando alla disamina del conflitto giurisdizionale, ha sottolineato la necessità d’ individuare la giurisdizione prima sulla domanda principale e, quindi, seppur in via condizionata, sulle subordinate.
I giudici di legittimità, nell’iter motivazionale della sentenza che ha portato all’enucleazione del citato principio ermeneutico, hanno posto alla base due sentenze: in prima battuta, hanno esaminato e fatti propri i principi di diritto dell’ordinanza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, n.13913/2017 e, in secondo luogo, hanno messo in evidenza l’incidenza di una recente pronuncia additiva della Corte Costituzionale, la n.114 del 2018, che ha aggiunto un elemento di novità per quanto riguarda la linea di demarcazione tra giurisdizione tributaria e ordinaria.
Inoltre, a parere degli scriventi, per avere un quadro completo dell’argomento oggetto di contrasto giurisprudenziale, appare opportuno anche esaminare il contenuto della sentenza della Suprema Corte, a Sezioni Unite, n.34447/2019, mettendola a sistema, altresì con l’ordinanza in commento (Cass.S.U.n.7822/2020); così facendo, con un raffronto di tali pronunce, si metteranno in rilievo analogie e differenze contenutistiche e di principio.
Ciò posto, tali pronunce verranno esaminate nel dettaglio nei paragrafi che seguono.
a) I principi della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 13913/2017
La Suprema Corte, a Sezioni Unite, nell’ordinanza n.7822 del 14 Aprile 2020, nella sua parte motiva ha evidenziato preliminarmente che già in precedenza la Cassazione, sempre a Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 13913 del 2017 si era pronunciata sulle implicazioni del dato normativo in materia di giurisdizione.
Dapprima, nella citata decisione, i giudici di legittimità hanno richiamato il quadro normativo vigente:
• art. 2 D.lgs. n.546/1992, che attribuisce in generale alle Commissioni Tributarie, per i giudizi di merito, la giurisdizione in materia tributaria, sottolineando, nel secondo periodo del comma 1, che "Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 20 settembre 1973, n. 602, articolo 50, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo D.P.R.";
• art. 19 D.lgs. n.546/1992, che reca l'elenco degli atti impugnabili davanti alle Commissioni Tributarie, suscettibile, secondo la consolidata giurisprudenza, di ampliamento per interpretazione estensiva (in relazione, ad esempio, ad ogni atto autoritativo contenente una ben individuata pretesa tributaria a carico del contribuente);
• art. 49, comma 2, D.P.R. n.602/1973, prevede che il procedimento di espropriazione forzata nell'esecuzione tributaria è regolato "dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione" in quanto non derogate dal capo II del medesimo Decreto del Presidente della Repubblica e con esso compatibili;
• art. 57 D.P.R.n.602/1973, che stabilisce che non sono ammesse né le opposizioni regolate dall'articolo 615 c.p.c. (salvo quelle concernenti la pignorabilità dei beni) né quelle regolate dall'articolo 617 c.p.c., ove siano relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo;
• art. 9, comma 2 c.p.c., che attribuisce al tribunale (in via generale e residuale) la competenza esclusiva delle cause in materia di imposte e tasse.
Orbene, dall’esame di tale quadro normativo, le Sezioni Unite nella citata ordinanza (Cass.S.U.n.13913/2017) hanno affermato che: "si evince, in ordine al riparto di giurisdizione (sostanzialmente nello stesso senso, ex plurimis, Cass. n. 18505 del 2013), che: 1) le cause concernenti il titolo esecutivo, in relazione al diritto di procedere ad esecuzione forzata tributaria, si propongono davanti al giudice tributario (Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 2, comma 1, secondo periodo; articolo 9 c.p.c., comma 2); 2) le opposizioni all'esecuzione di cui all'articolo 615 c.p.c., concernenti la pignorabilità dei beni si propongono davanti al giudice ordinario (articolo 9 c.p.c., comma 2); 3) le opposizioni agli atti esecutivi di cui all'articolo 617 c.p.c., ove siano diverse da quelle concernenti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, si propongono al giudice ordinario (articolo 9 c.p.c., comma 2); 4) le opposizioni di terzo all'esecuzione di cui all'articolo 619 c.p.c., si propongono al giudice ordinario (Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 58; articolo 9 c.p.c., comma 2)".
Conseguentemente, il Supremo Consesso, nell’ordinanza n. 13913/2017, ha anche rilevato che rimaneva aperto il problema dell’individuazione del giudice davanti al quale proporre l’opposizione agli atti esecutivi qualora il giudizio abbia a oggetto la regolarità formale o la notificazione del titolo esecutivo e, in particolare, ove il contribuente, di fronte al primo atto dell'esecuzione forzata tributaria (cioè all'atto di pignoramento), eccepisca di non avere mai ricevuto in precedenza la notificazione del titolo esecutivo.
A tal proposito, le Sezioni Unite 2017, hanno precisato che sul punto sussistevano due orientamenti opposti:
• in base al primo orientamento, più risalente, l'opposizione agli atti esecutivi riguardante un atto di pignoramento, che il contribuente assume essere viziato da nullità derivata dall'omessa notificazione degli atti presupposti, si risolve nell'impugnazione del primo atto in cui viene manifestato al contribuente l'intento di procedere alla riscossione di una ben individuata pretesa tributaria e "l'opposizione, pertanto, è ammissibile e va proposta davanti al giudice tributario (ai sensi dell'articolo 2, comma 1, secondo periodo e articolo 19 - estensivamente interpretato -del Decreto Legislativo n. 546 del 1992)";
• in base a un secondo orientamento, più recente, l'opposizione agli atti esecutivi riguardante un atto di pignoramento, che il contribuente assume essere viziato per nullità derivata dall'omessa notificazione degli atti presupposti, è ammissibile e va proposta dinanzi al giudice ordinario, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n.602 del 1973, articolo 57 e degli articoli 617 e 9 c.p.c., perché la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria sussiste quando sia impugnato un atto dell'esecuzione forzata tributaria successivo alla notificazione della cartella di pagamento (come, a esempio, un atto di pignoramento), restando irrilevante il vizio dedotto e, pertanto, anche quando detto vizio venga indicato nella mancata notificazione della cartella di pagamento", dovendo in tale ipotesi, il giudice ordinario verificare solo se ricorra il denunciato difetto di notifica all'esclusivo fine di pronunciarsi sulla nullità del consequenziale pignoramento basato su crediti tributari.
Ebbene, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto a favore del primo orientamento, ponendo alla base del proprio decisum ragioni di carattere letterale sistematico.
In particolare, dal punto di vista letterale, le Sezioni Unite 2017 hanno osservato che:
• l’art. 2 D.lgs. n.546/1992 individua il discrimen tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria nella "notificazione della cartella di pagamento", pertanto, prima di tale notifica, la controversia è devoluta al giudice tributario e, successivamente, al giudice ordinario;
• per l’effetto, l'impugnazione di un atto dell'esecuzione forzata tributaria che il contribuente assume essere invalido perché non preceduto dalla suddetta notificazione, integra una opposizione ai sensi dell'articolo 617 c.p.c, perché si situa prima della notificazione della cartella di pagamento. E invero, ciò che rileva ai fini della giurisdizione non è se, in punto di fatto, la cartella (o un altro degli atti equipollenti richiesti dalla legge) sia stata o meno effettivamente notificata (in quanto la giurisdizione non può farsi dipendere dal raggiungimento della prova della notificazione che è un “secundum eventum”), ma il dedotto vizio dell'atto di pignoramento (mancata notificazione della cartella);
• l'orientamento secondo cui è ammissibile davanti al giudice ordinario l'impugnazione del pignoramento incentrata sulla mancata notifica della cartella di pagamento o degli atti assimilabili, è in contrasto con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 57, nella parte in cui stabilisce che non sono ammesse le opposizioni regolate dall'articolo 617 c.p.c., riguardanti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo;
• e ancora, non appare convincente ripartire la giurisdizione in base al petitum formale contenuto nell'impugnazione proposta dal contribuente (cioè nel senso della giurisdizione tributaria, ove sia richiesto l'annullamento dell'atto presupposto dal pignoramento e della giurisdizione ordinaria, ove sia richiesta la dichiarazione di nullità del pignoramento),in quanto, a dire del Supremo Consesso, "non solo il petitum sostanziale è unico (il contribuente ha interesse a rendere non azionabile la pretesa tributaria, facendo valere una soluzione di continuità nell'iter procedimentale richiesto dall'ordinamento) e non solo una simile ricostruzione sarebbe inutilmente artificiosa, obbligando ad una duplice azione davanti a giudici diversi, ma nella specie sarebbe problematico individuare in concreto l'atto presupposto dal pignoramento ove (come prospettato dalla parte) l'atto di pignoramento sia l'unico atto portato a conoscenza del contribuente";
• ammettere davanti al giudice ordinario l'impugnazione del pignoramento per omessa notifica della cartella appare comunque in contrasto con il menzionato divieto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 57.
Inoltre, dal punto di vista sistematico, le S.U. 2017 hanno precisato che "l'atto di pignoramento non preceduto dalla notifica della cartella di pagamento integra il primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario e pertanto, in quanto idoneo a far sorgere l'interesse ad agire ai sensi dell'articolo 100 c.p.c., rientra nell'ambito degli atti impugnabili davanti al giudice tributario in forza del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 19 (quale interpretato estensivamente dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte: ex plurimis, Sezioni Unite n. 9570 e n. 3773 del 2014)".
Ebbene, sulla scorta delle posizioni sin qui delineate, le Sezioni Unite 2017, hanno ritenuto che il secondo orientamento interpretativo "nell'attribuire alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia concernente un atto compreso tra quelli di cui del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, citato articolo 19", è "disarmonico rispetto al disegno del legislatore di riservare al giudice tributario la cognizione delle controversie relative a tali atti".
Invece, il primo orientamento, a parere dei giudici di legittimità, troverebbe, "una più agevole sistemazione nel disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 57, nella parte in cui stabilisce che non sono ammesse le opposizioni regolate dall'articolo 617 c.p.c., riguardanti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo”, atteso che "tale inammissibilità, infatti, può ben essere interpretata nel senso di comportare il divieto di proporre dette opposizioni davanti al giudice ordinario, senza però che ciò impedisca di proporre la questione al giudice tributario, facendo valere, come nella specie, l'invalidità del pignoramento per la mancata notificazione della cartella di pagamento".
A seguito di tale iter motivazionale, le Sezioni Unite con l’ordinanza n.13913/2017 sono giunte a enucleare il seguente principio di diritto:
"In tal modo, tutto sembra ricomporsi in armonia con l'originario disegno del legislatore che, nel prevedere nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 57, l’inammissibilità davanti al giudice ordinario di alcune opposizioni in sede di esecuzione forzata, ha evidentemente presupposto che le situazioni soggettive poste a base di esse possano essere preventivamente tutelate davanti al giudice tributario" e, pertanto, “in materia di esecuzione forzata tributaria, l'opposizione agli atti esecutivi riguardante l'atto di pignoramento, che si assume viziato per l'omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o degli altri atti presupposti dal pignoramento), è ammissibile e va proposta - ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 2, comma 1, secondo periodo, articolo 19, Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 57 e articolo 617 c.p.c. - davanti al giudice tributario".
Ebbene, sulla base del predetto principio sancito dalle Sezioni Unite 2017, i giudici di legittimità nell’ordinanza n.7822/2020,hanno rimarcato che il confine fra la giurisdizione tributaria e la giurisdizione ordinaria, si deve individuare considerando quanto stabilito dall’art. 2 D.lgs. n.546/1992, ossia l’esclusione dalla giurisdizione tributaria degli atti dell'esecuzione tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o degli atti a essa equipollenti; quanto enunciato dal dato normativo deve essere inteso nel senso che alla giurisdizione tributaria risulta riservata la cognizione delle questioni inerenti alla pretesa tributaria non solo se una notifica valida vi sia stata, ma anche se non vi sia stata o se vi sia stata in modo inesistente o in modo nullo.
Più nel dettaglio, ne discende che la qualificazione che il legislatore ha fatto, nell’art. 2 del D.lgs. n.546/1992, con l'aggettivo "successivi" per individuare gli atti dell'esecuzione riservati alla cognizione del giudice ordinario deve essere intesa nel senso che comprenda questi atti non solo in quanto succeduti ad una notifica della cartella o dell'intimazione effettivamente e validamente eseguite, ma anche nel senso di comprendere l'ipotesi in cui detti atti siano succeduti ad una notifica nulla o inesistente o mancata. La cognizione della questione della nullità, della inesistenza, della mancanza della notifica non è deducibile come ragione di impugnazione dell'atto dell'esecuzione davanti al giudice ordinario, afferendo questo, invece, ad una questione che appartiene alla giurisdizione tributaria.
Difatti, l’atto esecutivo in presenza di una notifica invalida, mancante, inesistente della cartella o dell'intimazione, assume il valore di equipollente di una valida notifica, atteso che evidenzia al contribuente l'esistenza di detti atti e, pertanto, lo pone in condizioni di esercitare il diritto di impugnarli per la prima volta, non avendolo potuto esercitare per la mancata realizzazione in modo valido della fattispecie di notifica.
In via esemplificativa, i giudici di legittimità, hanno riassunto che l’art. 2 citato, pone una linea di demarcazione fra la giurisdizione tributaria e quella ordinaria inerente l’attuazione coattiva della pretesa tributaria fissata nel seguente modo:
1. alla giurisdizione tributaria, sebbene la pretesa tributaria si sia manifestata con un atto esecutivo, spetta la cognizione di ogni questione con cui si siano fatti valere fatti relativi alla pretesa tributaria e su di essa incidenti:
• sia in senso formale, ovvero in quanto afferenti ad atti di manifestazione di essa come provvedimenti autoritativi e alle regole della loro adozione come atti amministrativi, fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell'intimazione di pagamento, tanto se validamente avvenute quanto se mancate o inesistenti;
• sia in senso sostanziale, cioè in quanto relativi ai fatti costitutivi, modificativi o impeditivi della pretesa tributaria in senso sostanziale, ove però manifestatisi fino alla notificazione della cartella o dell'intimazione di pagamento, se validamente avvenute, e fino allo stesso atto esecutivo, se quella notificazione sia mancata o sia avvenuta in modo inesistente o invalido;
2. alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione:
• sia delle questioni inerenti la forma dell'atto esecutivo e, dunque, la sua legittimità formale;
• sia dei fatti incidenti sulla pretesa sostanziale tributaria azionata in excutivis, successivi al momento della valida notifica della cartella o dell'intimazione, non contestate come tali, ovvero, successivi (nell'ipotesi di nullità, mancanza o inesistenza della detta notifica) all'atto esecutivo che abbia assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell'intimazione.
Appare palese, secondo il Supremo Consesso, che le controversie, riservate alla giurisdizione ordinaria, s’individuano rispettivamente nell’opposizione agli atti esecutivi (ex art. 617 c.p.c.) e nell’opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.).
La Corte di Cassazione, sulla base delle considerazioni scaturenti dal combinato disposto dell’art. 2 D.lgs n.546/1992 e 57 del D.P.R.602/1973, ha dedotto che, appare sancita l'inammissibilità dell'opposizione ai sensi dell'articolo 615 c.p.c., con cui si sia preteso di dedurre l'inesistenza totale o parziale del diritto di procedere esecutivamente:
• per fatti sopravvenuti rispetto al momento della valida notificazione della cartella o dell'intimazione e, quindi, come tali non deducibili eventualmente come ragioni di contestazione della pretesa tributaria siccome evidenziata da detti atti, cioè come ragioni impugnatorie sostanziali di essi;
• o, nel caso di notificazione nulla, mancante o inesistente, per fatti sopravvenuti al momento in cui il compimento di un atto esecutivo successivo, in particolare il pignoramento, avesse consentito di conoscere cartella o intimazione e, dunque, di reagire contro di esse ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 19, comma 3.
Ebbene, secondo le Sezioni Unite l’inammissibilità delle opposizioni ex articolo 615 (con la sola eccezione di quella relativa all'impignorabilità dei beni pignorati) sembrava apparentemente assoluta.
Al riguardo, il Supremo Consesso ha evidenziato che “[…]In realtà, nel tessuto normativo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973[…] la proclamazione dell'articolo 57, si sarebbe potuta intendere come relativa alla sola preclusione del rimedio dell'opposizione ex articolo 615, per contestare la pretesa contenuta nel titolo esecutivo e manifestata con la cartella o l'intimazione validamente notificata oppure, nel caso di mancanza, inesistenza o nullità della loro notificazione, con il primo atto esecutivo, in quanto tali contestazioni erano e sono riservate alla giurisdizione tributaria”.
Tuttavia, dall’esame critico del dato normativo, si poteva dedurre che l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c si sarebbe potuta ipotizzare per dedurre fatti successivi a quei momenti(ossia verificatisi dopo la valida notifica della cartella o dell'intimazione di pagamento), oppure - nel caso di nullità, inesistenza o mancanza della notifica - dopo il momento di conoscenza di tali atti per il tramite del compimento da parte dell'esattore di un atto esecutivo, cioè in primis il pignoramento.
A questo punto del suo iter logico, la Suprema Corte mette in luce che l’impossibilità di praticare una tale interpretazione è stata condivisa dalla Consulta con la recente sentenza n.114/2008.
A tal proposito, prima di dare contezza delle conclusioni a cui è giunta la Suprema Corte nell’ordinanza n.7822/ 2020, appare necessario fare una breve menzione dei passaggi logici pregnanti del dictum della Corte Costituzionale.
b) I principi della sentenza della Corte Costituzionale n.114/2018
La Corte Costituzionale con sentenza n. 114/2018 ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, articolo 57, comma 1, lettera a), (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dal Decreto Legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, articolo 16 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma della L. 28 settembre 1998, n. 337, articolo 1), nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 50, sono ammesse le opposizioni regolate dall'articolo 615 c.p.c.".
Precisamente, a parere del Giudice delle Leggi, l’art.57 citato esclude che sia ammissibile l’opposizione all’esecuzione per il solo fatto che il contribuente opponente formuli un petitum con cui contesta il diritto dell’amministrazione finanziaria o dell’agente della riscossione di procedere ad esecuzione forzata, come sarebbe invece possibile secondo il canone ordinario dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ.
Da tale punto di vista, l’art. 57 citato si raccorda con l’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, che demanda alla giurisdizione del giudice tributario le contestazioni del titolo (normalmente, la cartella di pagamento) su cui si fonda la riscossione esattoriale.
Pertanto, se il contribuente contesta il titolo della riscossione coattiva, la controversia così introdotta appartiene alla giurisdizione del giudice tributario e l’atto processuale di impulso è il ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, proponibile avverso «il ruolo e la cartella di pagamento», e non già l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ.
Per tale motivo, secondo la Corte Costituzionale, non c’è affatto un vuoto di tutela nell’ipotesi della prevista inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione, qualora riguardi atti che radicano la giurisdizione del giudice tributario, atteso che questa c’è comunque innanzi ad un giudice, quello tributario. L’inammissibilità dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. si congiunge, in modo complementare, con la proponibilità del ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, assicurando, da questo punto di vista, la continuità della tutela giurisdizionale.
La Consulta ha messo in risalto nel suo iter logico, che “la censurata disposizione dell’art. 57, comma 1, lettera a), esprime anche un’altra norma: l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. è inammissibile non solo nell’ipotesi in cui la tutela invocata dal contribuente, che contesti il diritto di procedere a riscossione esattoriale, ricada nella giurisdizione del giudice tributario e la tutela stessa sia attivabile con il ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma anche allorché la giurisdizione del giudice tributario non sia invece affatto configurabile e non venga in rilievo perché si è a valle dell’area di quest’ultima. Il dato letterale della disposizione censurata non consente di ritenere che l’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione sia sancita solo nella prima ipotesi e non anche nell’altra”.
Ad ulteriore conferma di ciò, il Giudice delle Leggi elenca alcune ipotesi che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva e non già la mera regolarità formale della procedura: si tratta dell’intervenuto adempimento del debito tributario o di una sopravvenuta causa di estinzione dello stesso per essersi il contribuente avvalso di misure di favore per l’eliminazione del contenzioso tributario (quale, ad esempio, la c.d. “rottamazione” delle cartelle di pagamento).
In tali casi, a parere della Consulta “si configura la giurisdizione del giudice ordinario – perché la controversia si colloca a valle della giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 – e l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva, c’è una carenza di tutela giurisdizionale perché il censurato art. 57 non ammette siffatta opposizione innanzi al giudice dell’esecuzione e non sarebbe possibile il ricorso al giudice tributario perché, in tesi, carente di giurisdizione. Né questa carenza di tutela giurisdizionale sarebbe colmabile con la possibilità dell’opposizione agli atti esecutivi laddove la contestazione della legittimità della riscossione non si limiti alla regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura”.
Tanto rilevato, occorre chiarire che, dopo tale dictum della Consulta, la Suprema Corte è intervenuta anche nel 2019 con la sentenza a Sezioni Unite, la n.34447, sancendo l’ammissibilità dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. dinanzi al giudice ordinario, per tutti quei fatti successivamente intervenuti alla notificata della cartella di pagamento non impugnata o divenuta definitiva a seguito di giudicato, ponendo alla base il fatto che: “Se è vero che la cartella è configurabile come atto di riscossione e non di esecuzione forzata (Cass. SU 5994 del 2012) e che la giurisdizione tributaria si arresta solo di fronte agli atti di esecuzione forzata tra i quali non rientrano né le cartelle esattoriali né gli avvisi di mora (Cass. SU 17943 del 2009), è anche vero che per espressa disposizione normativa (art.2 d.lgs 546 del 1992) la notifica della cartella è un dato rilevante ai fini della giurisdizione, determinando il sorgere della giurisdizione del giudice ordinario, l’unico competente a giudicare dei fatti, successivamente intervenuti, estintivi e modificativi del credito tributario cristallizzato nella cartella”.
2.3. Conclusioni
Le Sezioni Unite, con l’ordinanza in commento n.7822/2020, alla luce del dispositivo della Consulta (Corte Cost. n.114/2018), hanno concluso che è ammissibile la tutela ex art. 615 c.p.c., qualora la contestazione del diritto di procedere all'esecuzione riguardi vicende della pretesa esecutiva tributaria rappresentate da fatti successivi alla notificazione della cartella o dell'intimazione di pagamento così intendendo riferirsi ad una valida e incontestata notifica di detti atti.
Precisamente, a parere delle Sezioni Unite “il dispositivo, proprio considerando l'espresso riferimento della motivazione ad una esclusione nell'opposizione a sensi dell'articolo 615 c.p.c., con una funzione recuperatoria della tutela recuperatoria della tutela esperibile davanti alla giurisdizione tributaria, deve, altresì, intendersi nel senso che la possibilità di esperimento della detta opposizione resta ammessa quando essa si fondi su fatti estintivi o comunque incidenti sulla pretesa tributaria oggetto di esecuzione forzata che si verifichino in una situazione di mancanza, inesistenza o nullità della notifica della cartella e, dunque, di avvenuta conoscenza di tali atti solo a seguito del compimento di un atto esecutivo, allorquando, però, il contribuente per dedurre detti fatti non abbia bisogno, al fine di dimostrarne la verificazione, di sostenere che essa dipenda dalla mancata notificazione della cartella, dalla inesistenza della sua notificazione o dalla nullita' della sua notificazione pur avvenuta”.
Più nel dettaglio, i giudici di legittimità hanno precisato che il fatto deducibile con l'opposizione all'esecuzione deve dedursi come rilevante e, pertanto, come verificatosi secondo la fattispecie normativa regolatrice della pretesa tributaria, non già perché è mancata, è stata inesistente o nulla la notificazione della cartella o dell'intimazione ma, piuttosto, a prescindere dalle suddette evenienze.
Alla luce di quanto emendato dal Giudice delle Leggi, la Corte di Cassazione ha fissato il discrimen tra la giurisdizione tributaria e la giurisdizione ordinaria nel seguente modo:
“a) alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione di ogni questione con cui si reagisce di fronte all'atto esecutivo adducendo fatti incidenti sulla pretesa tributaria che si assumano verificati e, dunque, rilevanti sul piano normativo, fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell'intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell'atto esecutivo, qualora la notificazione sia mancata, sia avvenuta in modo inesistente o sia avvenuta in modo nullo, e ciò, tanto se si tratti di fatti inerenti ai profili di forma e di contenuto degli atti in cui è espressa la pretesa, quanto se si tratti di fatti inerenti all'esistenza ed al modo di essere di tale pretesa in senso sostanziale, cioè di fatti costitutivi, modificativi od impeditivi di essa (con l'avvertenza, in questo secondo caso, che, se dedotta una situazione di nullità, mancanza, inesistenza di detta notifica, essa non si assuma rilevante ai fini della verificazione del fatto dedotto);
b) alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione delle questioni inerenti alla forma e dunque alla legittimità formale dell'atto esecutivo come tale, sia se esso fosse conseguito ad una valida notifica della cartella o dell'intimazione, non contestate come tali, sia se fosse conseguito in situazione di mancanza, inesistenza o nullità della notificazione di tali atti (non deducendosi come vizio dell'atto esecutivo tale situazione), nonché dei fatti incidenti sulla pretesa sostanziale tributaria azionata in excutivis successivi al momento della valida notifica della cartella o dell'intimazione, o successivi - nell'ipotesi di nullità, mancanza o inesistenza della detta notifica - all'atto esecutivo che avesse assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell'intimazione (e dunque avesse legittimato ad impugnarli davanti alla giurisdizione tributaria)".
Pertanto, sulla legittimità del pignoramento presso terzi deciderà il giudice dell’esecuzione sulla sussistenza di possibili vizi formali. Successivamente, solo se necessario, interverrà la commissione tributaria per la valutazione nel merito della pretesa.
3. Quadro sinottico giurisprudenziale
Corte Cost., n. 114/2018 |
Cass., S.U. , n. 34447/2019 |
Cass., S.U.,n. 7822/2020 |
Tutte le controversie che “si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento”- nei casi in cui non ci sia spazio per la giurisdizione del giudice tributario, ex art. 2 D.lgs n. 546/1992, e l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossone non riguardi la mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura, “ deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., essendo contestato il diritto di procedere alla riscossione coattiva”. Tra le ipotesi che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento, in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva e non già la mera regolarità formale della procedura, vi sono: - l’intervenuto adempimento del debito tributario; -una sopravvenuta causa di estinzione dello stesso per essersi il contribuente avvalso di misure di favore per l’eliminazione del contenzioso tributario, quale, ad esempio, la cosiddetta “rottamazione” delle cartelle di pagamento
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In sede di ammissione al passivo fallimentare, ove il curatore eccepisca la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notificazione della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l’esaurimento del potere impositivo, viene in essere un fatto estintivo d |
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