Abitazione principale in tema di ICI e IMU
Si osserva che, secondo il D.lgs. n. 504 del 1992, art. 6, comma 3 (nel testo "sostituito" dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 53), "l'imposta" comunale sugli immobili (ICI) "è determinata applicando alla base imponibile l'aliquota vigente"; l'art. 5, comma 1, dello stesso D.lgs., considera "base imponibile" il "valore degli immobili" soggetti all'imposta, inteso (comma 2) come "valore" dei fabbricati iscritti in catasto "quello che risulta applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto i moltiplicatori" di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 2.
In forza dello stesso art. 6, comma 2, poi, "l'aliquota può essere diversificata, con riferimento ai casi di immobili diversi dalle abitazioni, o posseduti in aggiunta all'abitazione principale, o di alloggi non locati; l'aliquota può essere agevolata in rapporto alle diverse tipologie degli enti senza scopi di lucro": con questa norma il legislatore ha imposto al Comune di deliberare comunque un trattamento fiscale meno gravoso per "l’abitazione principale".
Il D.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, lett. e), di poi, ha espressamente previsto la possibilità, per il Comune, di "considerare abitazioni principali, con conseguente applicazione dell'aliquota ridotta od anche della detrazione per queste previste, quelle concesse in uso gratuito a parenti in linea retta o collaterale, stabilendo il grado di parentela".
Con l'attuazione di questa previsione, ovviamente, debbono essere considerate "abitazioni principali" tutte quelle "concesse in uso gratuito a parenti": tanto, all'evidenza, in via logica, mostra l'irrilevanza del collegamento della nozione di abitazione principale (beneficiaria dell'esenzione) con quella di unica unità immobiliare catastale in quanto lo stesso soggetto passivo fruisce dell'aliquota ridotta ed anche della detrazione previste per tutti i suoi immobili adibiti ad "abitazioni", siano "principali" ovvero da considerare tali perché concessi "in uso gratuito a parenti"; il favore del legislatore per "l’abitazione principale", inoltre, si evince ulteriormente del D.L. 27 maggio 2005, n. 86, art. 5 bis, comma 4 (convertito nella L. 26 luglio 2005, n. 148) con il quale, al dichiarato "fine di incrementare la disponibilità di alloggi da destinare ad abitazione principale", si è concesso ai Comuni (alla "condizione" ivi prevista) la facoltà ("possono") di "deliberare la riduzione, anche al di sotto del limite minimo previsto dalla legislazione vigente, delle aliquote dell'imposta comunale sugli immobili stabilite per gli immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario".
Il concetto di "abitazione principale", quindi, non risulta necessariamente legato a quello di "unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio" (poi "catasto dei fabbricati") né, di conseguenza, limitato ad una sola unità come identificata catastalmente, ma viene in rilievo esclusivamente per la speciale considerazione, da parte del legislatore, dello specifico uso quale "abitazione principale" dell'immobile nel suo complesso.
In tale contesto normativo "l’accatastamento unitario" ritenuto necessario per l'applicazione delle «agevolazioni tributarie riguardanti i tributi che qui occupano ICI ed IMU» si rivela mero escamotage fattuale, non rispettoso dell'evidenziata finalità legislativa di ridurre il carico fiscale sugli immobili adibiti ad "abitazione principale", confermata dalla previsione ("a decorrere dall'anno 2008") “dell’esenzione" totale dell'imposta de qua sull'abitazione principale, disposta dal D.L. 21 maggio 2008, n. 93, art. 1.
Di conseguenza essendo pienamente mutuabile la ratio che sorregge le statuizioni della Corte di Cassazione (cfr. 9030/2017, 15198/2014, 4739/2008, 24986/2006) in tema di agevolazioni c.d. per l'acquisto della "prima casa", previste dalla L. 22 aprile 1982, n. 168, art. 1, comma 6, mutandis mutandis, deve affermarsi il principio secondo cui ai fini dell'imposta comunale sugli immobili (ICI), il contemporaneo utilizzo di più di una unità catastale come "abitazione principale" non costituisce ostacolo all'applicazione, per tutte, dell'aliquota prevista per "l’abitazione principale", sempre che (cfr. analogamente, per l'agevolazione "prima casa", Cass. n. 563/1998) il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, assumendo rilievo, a tal fine, non il numero delle unità catastali ma la prova dell'effettivo, utilizzazione ad "abitazione principale" dell'immobile complessivamente considerato, ferma restando, ovviamente, la spettanza della detrazione prevista dell'art. 8, comma 2, una sola volta per tutte le unità (cfr. Cass. n. 3393/2010).
Con riguardo all'agevolazione prevista per l'IMU dall'art. 13, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella L. 24 dicembre 2011, n. 214, si osserva che, secondo quanto anche di recente affermato dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 20368/2018), il tenore letterale della norma in esame è chiaro, diversificandosi in modo evidente dalla previsione sull'ICI in tema di agevolazione relativa al possesso di abitazione principale, oggetto di diversi interventi normativi.
L'art. 13, comma 2, del citato D.L. n. 201/2011, per quanto qui rileva, statuisce che «l'imposta municipale propria non si applica al possesso dell'abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 [...]. Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente».
Ciò comporta, per un verso, la non applicabilità della citata giurisprudenza della Corte di Cassazione formatasi in tema di ICI, riferita ad unità immobiliari contigue che, pur diversamente accatastate, fossero destinate ad essere in concreto utilizzate come abitazione principale del compendio nel suo complesso (cfr. Cass. Sez. 5, 29 ottobre 2008, n. 25902; Cass. Sez. 5, 9 dicembre 2009, n. 25279; Cass. Sez. 5, 12 febbraio 2010, n. 3393; Cass. Sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, 3011), per altro la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare dimorino ivi stabilmente e vi risiedano anagraficamente.
Anche ultimamente la Corte di Cassazione ha ribadito la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente ma vi risiedano anche anagraficamente (Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile – T, ordinanze n. 17015/2019 depositata il 25 giugno 2019; n. 4166 depositata il 13 febbraio 2020; n. 12050 depositata il 17 maggio 2018).
Ciò, d'altronde, è conforme all'orientamento costante espresso dalla Corte di Cassazione, in ordine alla natura di stretta interpretazione delle norme agevolative (tra le molte, in tema di ICI, più di recente, cfr. Cass. Sez. 5, 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass. Sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, n. 3011), condiviso anche dalla Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. 20 novembre 2017, n. 242);
Peraltro, come indiretta conferma di quanto sopra osservato, rileva anche la modifica introdotta, nel contesto del citato 13 del D.L. n. 201/2011, con l'aggiunta, ad opera dell'art. 1, comma 10, della L. n. 208/2015, della previsione, al comma 3, secondo cui, solo con decorrenza dal 1° gennaio 2016, la base imponibile dell'imposta municipale propria è ridotta del 50% «per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori stabilmente nello stesso comune in cui è situato l'immobile concesso in comodato».
Avv. Maurizio Villani
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione
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