Il discrimen tra appalto genuino di opere o servizi

La Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Puglia – Sezione Staccata di Lecce, con sentenza n. 2893/22 del 07 novembre 2022, ha accolto l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza della CTP di Lecce che aveva rigettato il ricorso presentato dalla società edile, rappresentata e difesa in entrambi i gradi di giudizio dall’Avv. Maurizio Villani.
In particolare, la vicenda ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2015, con il quale l’Agenzia delle Entrate ha contestato alla società edile un maggior reddito di impresa ed un maggior volume di affari, con conseguente rettifica ai fini IRES, IRAP ed IVA, il tutto per una pretesa impositiva superiore a trecentomila euro.
Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate poneva a base delle proprie contestazioni solo ed esclusivamente una verifica dell’Ispettorato del Lavoro, all’esito della quale veniva contestata la nullità dei contratti di appalto - stipulati tra la società contribuente e una cooperativa operante nel sistema dell’ausiliariato - per la mancanza dei requisiti specifici richiesti dalle norme vigenti (art. 29 del d.lgs.276/2003).
Più nel dettaglio, a fronte della contestazione da parte dei funzionari dell’Ispettorato del Lavoro circa la nullità dei contratti di appalto per la mancanza dei requisiti specifici richiesti, l’Agenzia delle Entrate ha riqualificato la prestazione resa nei suddetti contratti di appalto come “somministrazione di manodopera” e, su tale diversa qualificazione, ha applicato il diverso trattamento fiscale, cui consegue l’inapplicabilità dell’IVA, l’indeducibilità dei costi ai fini IRAP nonché l’indeducibilità di quei costi eccedenti il costo riferito alla retribuzione dei lavoratori dipendenti della cooperativa.
In altri termini, la controversia fiscale ha riguardato il sostanziale inquadramento normativo del rapporto giuridico intercorso tra la società e la cooperativa, con lo scopo di accertare se, nel caso di specie, si configurava un’ipotesi di contratto di appalto ovvero di somministrazione di manodopera.
La società, nel costituirsi in giudizio, ha ricostruito puntualmente l’origine e lo scopo di ogni singola operazione commerciale, mediante la produzione di corposa documentazione, volta a dimostrare che le operazioni attenevano ad un contratto di appalto e che, pertanto, il regime fiscale applicato era legittimo e corretto.
Ad ulteriore conferma dell’illegittima riqualificazione operata dall’Ufficio, nelle more del giudizio, la società contribuente ha evidenziato che la controversia oggetto di giudizio (relativa all’anno d’imposta 2015), era già stata oggetto di due diverse pronunce - una emessa dal Tribunale Civile di Lecce – Sez. Lavoro (relativa ai rapporti con l’INAIL) e l’altra emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (ma con riferimento ad altro anno d’imposta, 2014) - le quali, confermando la tesi difensiva della società, avevano ritenuto che i contratti intercorsi tra le due imprese erano da qualificarsi come “contratti di appalto genuini” e, quindi, leciti.
In particolare, la Corte di Giustizia di Secondo Grado con la sentenza in commento, condividendo le argomentazioni del Tribunale di Lecce -Sez. Lavoro e quelle dei giudici della CTP di Lecce per l’anno d’imposta 2014, ha rilevato che il metro di giudizio per la valutazione della genuinità dell'appalto si rinviene nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 15557/2019) secondo cui: <<l'appalto di opere o servizi espletato con mere prestazioni di manodopera è lecito purché il requisito della "organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore", previsto dall'art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, costituisca un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore, senza che l'appaltante, al di là del mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto, eserciti diretti interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti dell'appaltatore.>>.
In particolare, la Corte - facendo leva ed evidenziando le risultanze probatorie emerse in sede di giudizio del lavoro (relative alle deposizioni di tre testi escussi), da cui era emersa l’assenza di controlli da parte della società contribuente sul personale della cooperativa, l’utilizzo di mezzi propri da parte della cooperativa, la presenza di soggetti della cooperativa che fungevano da coordinatori delle maestranze, una differenziazione delle lavorazioni nonché la presenza di più subappalti presso lo stesso stabilimento – ha ritenuto che il rapporto giuridico intercorso tra la società contribuente e la cooperativa, fosse riconducibile ad un appalto genuino e non, invece, ad una somministrazione di manodopera.
In altri termini, correttamente la Corte di Giustizia di Secondo Grado della Puglia – Sez. staccata di Lecce, ha ritenuto che, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell'art. 29, comma 1, del d. lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare che all'appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d'impresa, dovendosi invece ravvisare un'interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente.
Alla luce delle ampie giustificazioni fornite dalla contribuente, nonché dei precedenti pronunciati dal Tribunale del Lavoro e dalla CTP di Lecce (per l’anno d’imposta 2014), correttamente, quindi, i giudici di secondo grado in riforma della sentenza di primo grado, hanno accolto le doglianze della società, annullando l’avviso di accertamento impugnato e, peraltro, condannando l’Agenzia delle Entrate alle spese del giudizio.
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