Impugnabilità retroattiva estratti di ruolo, parola alle Sezioni Unite

La Corte di Cassazione – Sezione Quinta Civile –, con l’ordinanza interlocutoria n. 4526/2022, depositata il 10 febbraio 2022, ha rimesso gli atti al Primo Presidente perché siano le Sezioni Unite a decidere sulla retroattività o meno della nuova normativa sulla non impugnabilità dell’estratto di ruolo.
A) Il punto di partenza, dunque, non può che essere quello della pronuncia “manifesto” di cui alla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 02 ottobre 2015, n. 19704.
Si è, infatti, affermato che, in caso di mancata conoscenza delle cartelle di pagamento, per vizi della notifica, possono essere impugnate dinanzi al giudice tributario le cartelle di pagamento conosciute attraverso gli estratti di ruolo. Infatti, il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale - a causa dell'invalidità della relativa notifica - sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non osta l'ultima parte del comma 3 dell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato - impugnabilità prevista da tale norma - non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l'invalidità stessa anche prima, giacché l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione (Cass., sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704).
È necessario chiarire il contenuto e la natura del ruolo, della cartella di pagamento e dell’estratto di ruolo, come scolpiti dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass., 19704/2015 cit.).
Il ruolo, dunque, che è compreso tra gli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie ai sensi dell'art. 19 d.lgs. 546/1992, è l'elenco complessivo dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall'Ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario (art. 10, lett. b, del d.P.R. 602/1973), recante l'indicazione di imposte, sanzioni e interessi; con la sottoscrizione del titolare dell'ufficio il ruolo diviene “titolo esecutivo”, ex art. 49 comma 1 d.P.R. 602/1973 (Cass., sez.un., 14 aprile 2020, n. 7822), senza necessità a tal fine di alcuna comunicazione o notificazione al debitore (Cass., 8 febbraio 2018, n. 3021).
Il ruolo è, quindi, un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di altre entrate) proprio dell'ente impositore. Il ruolo, una volta formato ed esecutivo, viene consegnato al concessionario alla riscossione, che redige, in conformità al modello approvato, la “cartella di pagamento” (art. 25, comma, 2, d.P.R. 602/1973), che contiene “l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata”.
Si è, inoltre, chiarito che una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 19, terzo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente, non notificato unitamente all’atto successivo notificato, ivi prevista, non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza; non può essere esclusa allora la facoltà del contribuente di far valere, appena avutane conoscenza, tale invalidità che, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, ha prodotto l’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con il relativo interesse del contribuente a contrastarlo il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno potrebbe divenire in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori.
L’accesso immediato alla tutela giurisdizionale consentito al contribuente costituisce, dunque, un “correttivo” idoneo a bilanciare il rapporto sperequato tra Amministrazione e contribuente.
Se, infatti, il contribuente dovesse attendere, per proporre impugnazione, il successivo atto impositivo, il procedimento proseguirebbe “indisturbato” fino alla sua conclusione attraverso il compimento dell’esecuzione senza che il contribuente abbia mai avuto modo di contestare la pretesa attraverso una impugnazione.
Ciò è funzionale anche al buon andamento della pubblica amministrazione, contribuendo l’accesso immediato alla tutela giurisdizionale ad evitare i costi di una procedura esecutiva “malinstaurata”.
La giurisprudenza di legittimità successiva si è posta nel solco della pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n.19704/2015), con l’affermazione della possibilità per il contribuente di impugnare la cartella non notificata, ma conosciuta tramite l’estratto di ruolo (Cass., sez. 6-5, 21 gennaio 2022, n. 1971; Cass., sez. 6-5, 11 gennaio 2012, n. 587; Cass., sez. 5, 24 dicembre 2021, n. 41508; Cass., sez. 5, 10 dicembre 2021, n. 39282; Cass., sez. 5, 7 dicembre 2021, n. 38964; Cass., sez. 5, 22 novembre 2021, n. 36013; Cass., sez. 6-5, 5 ottobre 2020, n. 21289; Cass., sez. 5, 17 settembre 2019, n. 23076; Cass., sez. 6-5, 9 settembre 2019, n. 22507; Cass., sez. 6-L, 25 febbraio 2019, n. 5443; Cass., 1 giugno 2016, n. 11439; in senso contrario Cass., sez. 6-5, 22 settembre 2017, n. 22184, che esclude, senza menzionare la pronuncia a sezioni unite 19704/2015, la sussistenza di un interesse concreto e attuale, ex art. 100 c.p.c., ad instaurare una lite tributaria, che non ammette azioni di accertamento negativo del tributo); sicché, in base a una interpretazione estensiva dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass., sez. 5, 21 gennaio 2020, n. 1230; Corte cost., 6 dicembre 1985, n. 313, in ordine
all’impugnabilità del diniego di condono), in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (articoli 24 e 53 Costituzione) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Costituzione), si è consentita l’impugnazione anche del certificato dei carichi pendenti, nel termine di 60 giorni per l’impugnazione ex art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass., sez. 5, 31 ottobre 2018, n. 27799), che non può però decorrere dalla “piena conoscenza” dell’atto (Cass., sez. 5, 2 luglio 2020, n. 13536).
L’acquisizione da parte del contribuente di una copia dell’estratto di ruolo, riportante l’indicazione di avvenuta iscrizione a ruolo, ha il valore di una mera informazione di un fatto verificatosi, e non può assurgere a prova della piena conoscenza dell’atto impositivo impugnabile, ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992; potendo legittimare appunto, al più, l’impugnazione, peraltro facoltativa, del solo estratto di ruolo (Cass., sez. 5-6, 9 settembre 2019, n. 909).
Pare discostarsi dalla pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, altra decisione con cui si è ritenuto inammissibile il ricorso contro l’iscrizione di ipoteca legale e la prodromica cartella di pagamento, in quanto proposto oltre il termine di 60 giorni dalla data nella quale il contribuente aveva avuto contezza della pretesa tributaria a suo carico mediante rilascio di estratto di ruolo (Cass., sez. 5, 30 maggio 2017, n. 13584).
Se, poi, la cartella è invalidamente notificata, ma l’iscrizione ipotecaria successiva è ritualmente notificata, il dies a quo per l’impugnazione della cartella è di 60 giorni dalla notificazione dell’iscrizione ipotecaria (Cass., sez. 5, 18 ottobre 2021, n. 28722); se si è in presenza di una intimazione di pagamento regolarmente notificata e non opposta nei termini di legge, è inammissibile l’impugnazione dell’estratto di ruolo successivamente conseguito, volta a far valere l’invalidità dell’intimazione per l’omessa notifica delle prodromica cartella di pagamento, in quanto l’estratto di ruolo non è un atto autonomamente impugnabile (Cass., sez. 5, 29 novembre 2019, n. 31240).
In talune decisioni si è poi evidenziata la sussistenza dell’interesse ad agire del contribuente, ex art. 100 c.p.c., in via “anticipata” avverso la cartella di pagamento non notificata, indipendentemente dalla notifica di un atto successivo, facendo valere l’invalidità della notifica dell’atto di riscossione, allo scopo di vedere accertata l’insussistenza per prescrizione della pretesa erariale già iscritta a ruolo (Cass., sez. 5, 13 marzo 2020, n. 7228; Cass., sez. 5-6, 3 marzo 2016, che ravvisa l’interesse giuridico all’impugnazione anticipata nella declaratoria di inefficacia della cartella, perché mai notificata).
Va premesso che l’innovazione legislativa non prevede alcuna disciplina transitoria, sicché deve decidersi se la novella concerna o meno i giudizi attualmente pendenti.
Questa è la conseguenza quando si scrivono male le norme senza disciplinare in modo chiaro e preciso la fase transitoria.
B) Secondo una prima impostazione teorica la nuova disposizione, avendo carattere processuale e non sostanziale, opera anche per i processi pendenti, in base alla regola “tempus regit actum”, seppure con particolare focalizzazione sulla sussistenza dell’interesse ad agire.
Invero, pur considerandosi la peculiarità del processo tributario rispetto al processo civile ed a quello amministrativo, comunque si reputa che l’interesse ad agire, rectius a “ricorrere”, trattandosi di processo impugnatorio, sia ben presente anche nel processo tributario.
Nel processo civile l’art. 100 c.p.c. demanda al giudice di constatare la presenza di un interesse ad agire concreto ed attuale, anche se definito da autorevole dottrina come “quinta ruota del carro”; nel processo amministrativo, caratterizzato dalla natura provvedimentale dell’atto impugnato, proprio la natura discrezionale del provvedimento, che non può essere incanalato in precisi inquadramenti tipologici, lascia al giudice l’individuazione dell’interesse ad agire o meglio a ricorrere.
Nel processo tributario, invece, vi è una predeterminazione normativa degli atti autonomamente impugnabili, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, sicché per gli atti “tipici” l’interesse a ricorrere è in re ipsa, in quanto già insito nella natura potenzialmente pregiudizievole degli atti tributari notificati; in questo caso, però a differenza che nel processo amministrativo, in cui i vizi dall’atto sono tipizzati (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere), vi è ampio spazio per una illimitata prospettiva di motivi deducibili.
È questa la ragione per cui nel processo tributario l’interesse ad agire scolora rispetto alla tipicità dei provvedimenti impugnabili.
Tuttavia, si potrebbe giungere a diversa soluzione con riferimento all’impugnazione del ruolo e della cartella, non notificati o irregolarmente notificati, di cui il contribuente viene a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo; in questa ipotesi, il legislatore della novella ha inteso innescare un peculiare interesse ad agire e ad impugnare, selezionando i pregiudizi “qualificati”.
In sostanza, come sottolineato dalla dottrina, il legislatore ha individuato “un interesse qualificato” alla impugnazione immediata da proporre avverso il ruolo e la cartella di pagamento invalidamente notificata, fermo restando l’esclusione tout court dell’impugnazione contro l’estratto di ruolo; sicché, la nuova normativa produce l’inammissibilità sopravvenuta in tutti i casi di ricorsi proposti al di fuori delle ipotesi tassative di cui al nuovo comma 4-bis dell’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973, aggiunto dall’art. 3-bis del decreto-legge n. 146 del 2021, convertito in legge n. 215 del 2021.
L’interesse ad agire, come pure l’interesse a ricorrere, per una parte della dottrina, è, quindi, strettamente connesso al principio di economia processuale, perché serve ad evitare attività processuali correlate a domande o difese fondate, ma inutili.
C) Altra ricostruzione teorica, che si muove a supporto della immediata applicazione della nuova normativa anche ai processi in corso, muove dalla natura dello ius superveniens, che costituirebbe una norma di interpretazione autentica.
Parte della giurisprudenza di merito è giunta alla conclusione che la nuova norma, confermando un “consolidato” orientamento di legittimità si applica anche retroattivamente (Commissione tributaria provinciale di Catania n. 357 del 2022; Commissione tributaria provinciale di Latina, n. 53 del 2022; Commissione tributaria provinciale di Siracusa, n. 400 del 2022).
Tuttavia, si rammenta che una norma può essere qualificata come di interpretazione autentica, con valore retroattivo, o se vi è la qualificazione espressa di norma di interpretazione autentica, oppure se sussistono i presupposti di incertezza applicativa che ne avrebbero giustificato l’adozione (Cass., sez. un., 20 marzo 2015, n. 5685, in tema di estensione del privilegio generale sui mobili ai crediti dell’impresa artigiana).
D) Secondo una diversa ricostruzione dottrinale, invece, il principio generale di irretroattività della legge comporta che la nuova disciplina sulla impugnabilità limitata degli estratti di ruolo, o meglio delle cartelle non validamente notificate, come pure delle iscrizioni ipotecarie irritualmente notificate, conosciute tramite l’estratto di ruolo, si applichi alle impugnazioni degli estratti di ruolo proposte a decorrere dalla data di entrata in vigore della novella legislativa, quindi dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione sulla G.U. del 20 dicembre 2021.
Si è fatto leva anche in questo caso sul principio “tempus regit actum”, questa volta per affermare che il principio cardine delle logiche temporali del processo è quello in base al quale un atto deve seguire le norme vigenti nel momento in cui viene realizzato, andando, dunque, ad applicarsi le regole esistenti nel momento in cui l’atto ha origine.
Il processo si articola in fasi processuali, collegate le une alle altre, ma la nuova norma va ad incidere sulla specifica fase processuale in cui si innesta.
Si è fatto riferimento, poi, alla giurisprudenza formatasi in ordine al regime di impugnazione di un provvedimento giudiziario.
E) Non si può celare che la dottrina si è mostrata aspramente critica verso l’innovazione legislativa, sollevando plurimi profili di incostituzionalità, sia con riferimento alla lesione del diritto di difesa del contribuente, sotto la lente d’ingrandimento dell’art. 24 della Costituzione, sia in relazione alla diversità di trattamento tra i vari contribuenti, che non trova idonee giustificazioni; si è evidenziato che il pregiudizio che può subire il contribuente dalla eventuale esclusione dalla gara di affidamento di commesse pubbliche ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016, oppure quale inibizione del pagamento di importi superiori ad euro 10.000,00, se il beneficiario inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di uno o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo, ai sensi dell’art. 48-bis del d.P.R. n. 102 del 1973, o ancora dalla possibile perdita di un beneficio nei rapporti con la pubblica amministrazione, non è molto diverso dal pregiudizio che può subire il contribuente, a seguito della iscrizione a ruolo e della emissione di una cartella, seppure non notificata o irregolarmente notificata, per l’accesso al credito bancario oppure per il pignoramento del proprio conto corrente, fondamentale per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale o professionale, o per il fermo del proprio autoveicolo, oppure per la possibilità di essere dichiarato fallito, in assenza di liquidità, ai sensi dell’art. 5 l.f.
F) In dottrina, si sono palesate anche possibili violazioni del diritto unionale, e segnatamente dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il quale prevede che “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”; il contribuente, dopo la disposizione innovativa, non avrebbe più la possibilità di “ripulire le sue pendenze fiscali”, con conseguente minaccia permanente sui propri beni e pregiudizio al loro godimento.
Si è anche invocato l’art. 6 della CEDU sul diritto ad un equo processo, che in questo modo sarebbe impedito, anche se l’applicazione al tema tributario di tale previsione non è pacifica.
Si è anche profilata la possibilità della violazione dell’art. 117 della Costituzione, per conflitto della disciplina innovativa con la “norma interposta” integrata dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
G) Tirando le file sparse del discorso sin qui condotto, la Corte di Cassazione, considerata la duplice chiave di lettura che può avere la questione sollevata con il secondo motivo di ricorso alla luce dello jus superveniens e tenuto conto della particolare rilevanza dei principi, anche costituzionali, sottesi alla soluzione, con possibili ricadute pure al di fuori del processo tributario, cioè nei processi civili e previdenziali aventi per oggetto cartelle relative ad entrate patrimoniali di natura extrafiscale (artt. 17, 18, 24 e 29 del d.lgs. n. 46 del 1999), ha ritenuto opportuno, ai sensi dell’art. 374, secondo comma, c.p.c., rimettere gli atti al Primo Presidente per le sue determinazioni in ordine alla eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite per questione di massima di particolare.
Avv. Maurizio Villani
Avvocato Tributarista in Lecce
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