Verso la riforma della giustizia tributaria
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha previsto, all’interno della riforma fiscale, anche la necessaria ed urgente riforma strutturale della giustizia tributaria.
Infatti, il Governo, nella Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2021 (NADEF), ha previsto il disegno di legge delega di riforma della giustizia tributaria, dopo aver approvato il 05 ottobre 2021 il disegno di legge delega di riforma fiscale.
Non bisogna dimenticare, come riferimento storico, che:
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la legge delega n. 825 del 09 ottobre 1971, all’art. 10, comma 2, n. 14, prevedeva l’autonomia e l’indipendenza delle Commissioni tributarie;
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la legge delega n. 413 del 30 dicembre 1991, all’art. 30, comma 1, lett. a), prevedeva la competenza del giudice tributario;
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la legge delega n. 23 dell’11 marzo 2014, all’art. 10, comma 1, prevedeva la terzietà dell’organo giudicante e l’eventuale composizione monocratica.
Dopo le modifiche dei processi civili e penali è arrivato il momento di riformare anche la giustizia tributaria, come da oltre venti anni vado sollecitando, con il mio libro “Per un giusto processo tributario” Editore Congedo anno 2000.
Al fisco italiano più che una riforma serve una “controriforma”. Sarebbe cioè necessario, in luogo di nuovi regimi di tassazione, rimettere al centro il contribuente, soprattutto tutelando il suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito (art. 24 della Costituzione), oggi fortemente compromesso.
La giustizia tributaria oggi gestisce un contenzioso di oltre 41 miliardi di euro, pari all’1% del PIL nazionale, e può incidere sensibilmente sullo sviluppo economico ed industriale del Paese, nonché essere un settore cruciale per l’impatto che può avere sulla fiducia degli operatori economici.
Proprio sul presupposto che la riforma strutturale della giustizia tributaria sia una tra le priorità d’azione indicate dal Governo, il Ministro della giustizia e il Ministro dell’economia e delle finanze hanno istituito la Commissione Interministeriale per la giustizia tributaria, di cui parleremo oltre.
In sostanza, il Governo ha attribuito alla suddetta Commissione “il duplice compito di esaminare le criticità esistenti e di elaborare proposte di misure e di interventi legislativi, con l’obiettivo di migliorare la qualità della risposta giudiziaria e di ridurre i tempi del processo”.
IL PENSIERO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale, su mia espressa eccezione, con l’importante ordinanza n. 144 del 20-23 aprile 1998 stabilì che:
“per le preesistenti giurisdizioni speciali, una volta che siano state assoggettate a revisione, non si crea una sorta di immodificabilità nella configurazione e nel finanziamento, né si consumano le potestà di intervento del legislatore ordinario; che questi conserva il normale potere di sopprimere ovvero di trasformare, di riordinare i giudici speciali, conservati ai sensi della VI disposizione transitoria, o di ristrutturarli nuovamente anche nel funzionamento e nella procedura, con il duplice limite di non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisprudenza speciale) le materie attribuite alla loro rispettiva competenza e di assicurare la conformità a Costituzione, fermo permanendo il principio che il divieto di giudici speciali non riguarda quelli preesistenti a Costituzione e mantenuti a seguito della loro revisione”.
Principi richiamati anche dalla Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 227 del 20/10/2016 (dove si era costituita anche l’Associazione Magistrati Tributari – A.M.T.). Pertanto, se ci si limita agli enunciati espressi dalla Corte Costituzionale, che fanno riferimento, sia pure sinteticamente, alle materie devolute alle Commissioni tributarie, non vi sono ostacoli testuali a modificare lo status attuale dei giudici tributari.
CONOSCERE PER DELIBERARE
Quando si mette mano ad una riforma strutturale della giustizia tributaria, bisogna “conoscere per deliberare”, come giustamente ammoniva Luigi Einaudi, membro dell’Assemblea Costituente e secondo Presidente della Repubblica Italiana dal 1948 al 1955, nel suo famoso libro “Prediche inutili”.
Quindi, senza generiche ed immotivate enunciazioni di principio, senza chiacchiere e con più onestà intellettuale, bisogna partire dai freddi numeri e dalla situazione della giustizia tributaria oggi, che ha i seguenti problemi, soprattutto alla luce dei risultati conseguiti negli ultimi venti anni:
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strutturali, perché è gestita dal MEF, con giudici a tempo parziale e mal retribuiti;
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processuali, perché il contribuente è limitato nel diritto di difesa, non potendo citare testimoni (art. 7, quarto comma, D.Lgs. n. 546/92);
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di coordinamento, perché il processo tributario mal si coordina con il processo penale, del lavoro, esecutivo, civile e fallimentare, in quanto da un avviso di accertamento fiscale possono, in contemporanea, sorgere problemi penali, previdenziali, di riscossione, civili e persino fallimentari.
In definitiva, l’attuale giustizia tributaria ha le seguenti criticità, giustamente rilevate dalla Commissione interministeriale;
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la notevole complessità e variabilità della normativa, che influisce negativamente sulla certezza del diritto;
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il deficit di conoscenze attorno alla giurisprudenza di merito;
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la durata del processo;
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l’insufficiente livello di specializzazione dei giudici tributari;
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le dimensioni quantitative del contenzioso tributario;
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infine, la diffusa percezione di una imperfetta indipendenza dei giudici tributari.
Si rinvia all’interessante e condivisibile articolo “La giustizia tributaria è impresentabile” di Marino Longoni, in “Italia Oggi” di mercoledì 08 settembre 2021.
I NUMERI DEI GIUDICI TRIBUTARI OGGI
Attualmente, i giudici tributari sono 2792, di cui 53% togati e 47% non togati. Dipendono dal MEF e sono nominati su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze (art. 9, primo comma, D.Lgs. n. 545/1992). Svolgono l’attività giudiziaria a tempo parziale, come seconda o terza attività. Gli stessi giudici di merito possono far parte della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria. Quasi mai viene svolta un’attività istruttoria per quello che diremo dopo. Vanno in pensione a 75 anni.
Non bisogna dimenticare che, nel corso degli anni, molte Commissioni tributarie (come, per esempio, Brindisi) hanno avuto sede presso l’Agenzia delle Entrate, per cui agli occhi dei cittadini – contribuenti, anche all’apparenza, veniva meno l’indipendenza e la terzietà del giudice tributario.
In sostanza, viene giustamente considerata una giustizia cenerentola, che non certo rispetta l’art. 111, secondo comma, della Costituzione, che testualmente dispone:
“Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.
I COMPENSI DEGLI ATTUALI GIUDICI TRIBUTARI
Attualmente, i giudici tributari, indipendentemente dal valore della causa, percepiscono:
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300 euro lorde mensili fisse;
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zero euro per le sospensive;
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15 euro nette a sentenza depositata;
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1,50 euro forfettario per rimborso spese, anche se giudicano fuori regione, nonostante l’art. 8, terzo comma, D.Lgs. n. 545/92 stabilisca che: “nessuno può essere componente di più commissioni tributarie”; nel corso degli anni, non è un mistero che in passato si sia abusato dell’applicazione a Commissioni diverse da quella di appartenenza, come ha riconosciuto lo stesso On. Antonio Leone, Presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, in “Il Sole 24 Ore” di martedì 12 ottobre 2021.
I giudici tributari meritano un trattamento economico adeguato e dignitoso, come i magistrati ordinari, sia per il delicato e difficile compito di decidere su una normativa fiscale difficile, complessa, confusionaria ed alcune volte contraddittoria sia per evitare i gravi episodi di corruzione che, purtroppo, ci sono stati, come persino denunciato dal Dott. Cantone dell’ANAC nel 2019.
In sostanza, il MEF paga 93 euro complessive per ogni sentenza depositata, a prescindere dal valore della causa. Di solito, i pagamenti sono effettuati con ritardo, con l’applicazione dell’aliquota marginale e non a tassazione separata, come stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3581/2020, secondo cui:
“Dato per acquisito che, come suaccennato, la stessa Agenzia delle entrate riconosce che la scadenza fisiologica per l'erogazione dei compensi variabili del terzo trimestre, è successiva al 15 ottobre senza travalicare l'anno di maturazione, con riferimento ai compensi variabili maturati nel quarto trimestre (periodo 1 ottobre/31 dicembre) ritiene il Collegio che un termine possa ragionevolmente individuarsi, in aggiunta a quello fissato come iniziale dalla suddetta Direttiva (dopo il 15 gennaio), in quello di 120 giorni, in parametro con quello previsto, dopo la novella del 2000 (L. n. 388 del 2000, articolo 147), dal Decreto Legge 31 dicembre 1996, n. 669, articolo 14 (in tema di esecuzione forzata nei confronti delle pubbliche amministrazioni), quale idoneo spatium adimplendi da concedere all'Amministrazione per l'approntamento dei controlli e dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei compensi variabili.”
Inoltre, in caso di riunione delle cause decise con unica sentenza, mentre in primo grado i compensi riguardano le singole cause, invece in appello il MEF paga un unico compenso per l’unica sentenza; e ciò crea attriti e gelosie tra i vari giudici.
Oltretutto, i compensi dei giudici tributari, che decidono cause anche di milioni di euro, sono nettamente inferiori a quelli dei giudici di pace che, per cause “minori” (per esempio, cause condominiali e fino ad euro 20.000 per i risarcimenti da circolazione stradale), possono percepire fino ad euro 72.000 ad anno.
Ecco perché nell’attuale giustizia tributaria si fanno sentenze a cottimo per riscuotere quanto prima i 15 euro netti e quasi sempre si salta la fase istruttoria. Infatti, nelle attuali Commissioni tributarie mai si usano i poteri previsti dall’art. 7, primo comma, D.Lgs. n. 546/92, che testualmente dispone:
“Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, d’informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta” (art. 32 D.P.R. n. 600/1973)."
Inoltre, raramente i giudici tributari nominano i consulenti tecnici d’ufficio (CTU). Oltretutto, la mancanza effettiva della fase istruttoria lede fortemente il diritto di difesa del contribuente, soprattutto dopo la modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., che limita il ricorso per Cassazione soltanto: “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
A seguito della suddetta modifica, la Corte di Cassazione ha più volte stabilito che: “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cassazione, sentenze nn. 27415/2018; 7955/2021; 8575/2021; 10310/2021; 24837/2021).
Inoltre, non bisogna dimenticare che, in nome della lotta all’evasione fiscale, i dati dei contribuenti, anche i più sensibili, potranno essere utilizzati liberamente dagli uffici fiscali per gli accertamenti analitici ed induttivi e potranno circolare all’interno della pubblica amministrazione, come previsto dall’art. 9 del Decreto Legge n. 139/2021 approvato dal Consiglio dei Ministri il 07 ottobre 2021 e pubblicato in G.U. n. 241 del 08 ottobre 2021. Ancora una volta il legislatore potenzia le armi a vantaggio del fisco senza permettere al contribuente di potersi difendere senza “lacci e lacciuoli”.
Inoltre, oggi, difficilmente i giudici tributari sospendono i giudizi (art. 295 c.p.c.), neppure quando c’è un giudizio penale in corso, per il principio del c.d. “doppio binario”, con il rischio di sentenze contraddittorie in sede tributaria e penale. Infatti, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47837/2019, ha confermato il suddetto principio di diritto:
“Va ricordato che la determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa è rimessa al giudice penale, al quale spetta di compiere una verifica che, privilegiando il dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l'ordinamento fiscale, può sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata in sede amministrativa o dinanzi al giudice tributario."
Costituisce, infatti, principio pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l'ammontare dell'imposta evasa, da intendersi come l'intera imposta dovuta, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria (Sez. 3, n. 5490 del 26/11/2008, Crupano, Rv. 243089; Sez. 3, n. 28710 del 19/04/2017, P.G. in proc. Mantellini, Rv. 270476; Sez. 3, n. 15899 del 02/03/2016, Colletta, Rv. 266817; Sez. 3, n. 38684 del 04/06/2014, Agresti, Rv. 260389; Sez. 3, n. 37335 del 15/07/2014, Buonocore, Rv. 260188; Sez. 3, n. 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280).
Si è, dunque, osservato che l'autonomia del processo penale da quello amministrativo, sancita dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 20, (secondo cui "Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione"), non può non valere anche ai fini, che qui rilevano, dell'individuazione dell'ammontare dell'imposta evasa per l'adozione e il mantenimento del provvedimento cautelare in funzione della confisca, nei casi di raggiunti accordi conciliativi con l'erario.
In altri termini, deve ammettersi che il giudice penale ben possa, sulla scorta di elementi di fatto, discostarsi dalla quantificazione del profitto come risultante dalla conclusione di accordi conciliativi con l'agenzia delle entrate, ma nell'esercizio di tale autonomo potere deve darne congrua argomentazione, diversamente ragionando si perverrebbe alla introduzione di una pregiudiziale tributaria non prevista nell'ordinamento giuridico (Sez. 3 n. 50157 del 27/09/2018, Rv. 275439).
Oltretutto, in Cassazione l’Amministrazione finanziaria è esonerata, a differenza del contribuente ricorrente, dal versamento del contributo unificato, anche quello ulteriore in caso di rigetto del ricorso (art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della Legge n. 228/2012; Cass. n. 17789 del 2016 e n. 25474 del 2021).
All’Assemblea generale di Confindustria del 23/09/2021, giustamente, il Presidente Carlo Bonomi ha detto: “Infine, dateci una giustizia tributaria affidata a giudici specializzati in materia, fino dai bandi di concorso; basta con il sistema di giudici amatoriali che rendono difformi le pronunzie a livello territoriale su uguali fattispecie”.
Ed anche il Prof. Enrico De Mita, nell’interessante e condivisibile articolo pubblicato in “Il Sole 24 Ore” del 14/09/2021, ha sollecitato l’istituzione di giudici professionisti per il contenzioso fiscale, anche nel nome del PNRR, perché “la materia è talmente centrale che non può essere lasciata a un lodevole volontariato”.
I TITOLI DEGLI ATTUALI GIUDICI TRIBUTARI
Attualmente, i giudici tributari sono tutti onorari e di questi:
TOGATI
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i giudici ordinari sono l’86,51%;
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i giudici militari sono l’1,3%;
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i giudici amministrativi sono il 6,5%.
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i giudici contabili sono il 5,7%;
NON TOGATI
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i pensionati sono il 24,1%;
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gli avvocati sono il 26,90%;
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i commercialisti sono il 9,9%;
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i pubblici impiegati sono il 13,6%;
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le altre professioni sono il 25,60%
A questo punto, valgono le seguenti considerazioni in merito alla composizione delle attuali commissioni tributarie:
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possono far parte dei collegi giudicanti pubblici ministeri, che per la loro attività istituzionale promuovono azioni penali per presunte evasioni fiscali e possono persino chiedere il fallimento, ai sensi degli artt. 5 e 6 della Legge Fallimentare, per esempio per mancati pagamenti di imposte provvisorie; inoltre, in un caso, un pubblico ministro, che aveva promosso l’azione penale nei confronti di un contribuente ha deciso in sede tributaria contro lo stesso contribuente e la Corte di Cassazione non ha annullato la sentenza perché la parte non aveva proposto la ricusazione, in quanto la “violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione” (Cassazione, ordinanza n. 19827 del 2021)!!!; infatti, così ha stabilito la suddetta ordinanza:
“Quanto alla memoria difensiva depositata dal contribuente in vista della adunanza camerale, con cui si deduce per la prima volta che la sentenza della CTR è stata stesa dallo stesso magistrato che, in funzione di Pubblico Ministero, aveva svolto le indagini penali e firmato il decreto di citazione a giudizio di (OMISSIS) per il furto dei telefonini, la stessa è all'evidenza inammissibile in considerazione della sede in cui è dedotta la doglianza, essendo la memoria illustrativa deputata ad illustrare motivi già proposti e non anche a dedurre motivi nuovi. In ogni caso, in difetto di ricusazione, la violazione dell'obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacche' l'articolo 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l'imparzialità e terzietà del giudice), ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull'impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell'ipotesi anzidetta, l'imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell'astensione e della ricusazione; ne' detti istituti, cui si aggiunge quello dell'impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall'articolo 6 della Convenzione EDU, che, sotto l'ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell'imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato articolo 111 Cost. (v. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 21094 del 11/09/2017 Rv. 645706 - 01)”;
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possono far parte dei collegi giudicanti anche ufficiali e generali della Guardia di Finanza e del SECIT (artt. 4, primo comma, lett. c), e 5, primo comma, lett. d) ed e), D.Lgs. n. 545/1992);
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possono decidere giudici militari;
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possono decidere pensionati, pubblici impiegati o rappresentanti di commercio;
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per assurdo, i veri competenti della materia fiscale, cioè i dottori commercialisti, sono soltanto il 9,9% dei giudici non togati e il 9% di tutti i giudici tributari.
VALORE DELLE CONTROVERSIE TRIBUTARIE
Dal 31/12/2011 al 15/04/2021 l’arretrato delle Commissioni tributarie è diminuito del 57,13%. Particolarmente significativo è il dato dell’arretrato diviso per scaglioni di valore.
ANALISI DEI PENDENTI AL 31/12/2019 DISTINTI PER SCAGLIONE DEL VALORE
C.T.P.
Valore della controversia |
n. |
% |
Da 0 a 3.000 euro |
97.139 |
49,16 |
Da 3.000,01 a 20.000 euro |
51.227 |
25,93 |
Da 20.0000,01 a 50.000 euro |
18.467 |
9,35 |
Da 50.000,01 a1 mln di euro |
23.921 |
12,11 |
Da 1.000.000,01 a 10 mln di euro |
2.368 |
1,20 |
Oltre 10 mln di euro |
245 |
0,12 |
Valore indeterminabile |
4.211 |
2,13 |
Totale |
197.578 |
100,00 |
C.T.R.
Valore della controversia |
n. |
% |
Da 0 a 3.000 euro |
37.082 |
26,93 |
Da 3.000,01 a 20.000 euro |
43.089 |
31,29 |
Da 20.000,01 a 50.000 euro |
21.418 |
15,56 |
Da 50.000,01 a 1 mln di euro |
27.845 |
20,22 |
Da 1.000.000,01 a 10 mln di euro |
2.709 |
1,97 |
Oltre 10 mln di euro |
257 |
0,19 |
Valore indeterminabile |
5.284 |
3,84 |
Dai dati sopra riportati emerge come un numero preponderante di controversie sia di valore ridotto; più nel dettaglio, le controversie fino a 3.000 euro costituiscono circa il 50% di quelle pendenti in primo grado ed il 27% circa di quelle pendenti in appello. Ecco perché nel progetto di riforma si può prevedere un giudice onorario monocratico per discutere le suddette cause “minori”.
LE CAUSE TRIBUTARIE DURANTE LA PANDEMIA
L’art. 27 D.L. n. 137/2020, e successive modifiche ed integrazioni, ha disciplinato le udienze durante la pandemia COVID-19. Il risultato finale di questa scelta è che le udienze celebrate da remoto, peraltro con vari problemi di collegamento, secondo i dati diffusi dal MEF, non superano il 27/% delle cause totali.
Quindi, quasi 3 cause su 4 nei 18 mesi della pandemia sono state decise senza alcuna discussione in udienza, con grave lesione del diritto di difesa, in quanto la discussione orale è determinante in un processo tributario documentale, quasi sempre senza istruttoria e con gravi limiti difensivi già previsti dalla legge, come per esempio il divieto di testimonianza.
Oltretutto, come ultimamente denunciato dall’Ordine degli Avvocati di Milano e dall’ODCED di Milano con la nota del 30/09/2021, la nuova formulazione del citato art. 27 ha stabilito che nessuna proroga c’è stata per la c.d. “trattazione sulla base degli atti”, che è prevista al comma 2 del citato art. 27 e che, quindi, non è più possibile per le udienze successive al 31 luglio 2021.
In tale situazione particolare e provvisoria, può accadere che nella comunicazione di un’udienza tributaria a distanza è stato messo nero su bianco che gli interventi per ciascuna parte non possono durare più di 5 minuti; in pratica, ogni minuto per il diritto di difesa può valere, per esempio, circa mezzo milione di euro, considerando il valore complessivo della lite, pari a 5 milioni di euro (si rinvia all’interessante e condivisibile articolo di Giovanni Parente, in “Il Sole 24 Ore” di mercoledì 13 ottobre 2021). Infine, come rilevato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, con il crollo delle liti durante il periodo pandemico, il 26% dei giudici tributari è in esubero.
LE SENTENZE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE NEL 2020 E 2021:
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In primo grado, la quota di giudizi completamente favorevoli all’Ente impositore si attesa al 50,40% per un valore complessivo di 1.910,06 milioni di euro.
Invece, i giudizi complessivamente favorevoli al contribuente sono pari al 26,15% per un valore di 390,21 milioni di euro.
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In secondo grado, la quota di giudizi completamente favorevoli all’Ente impositore si attesta al 48,36% per un valore complessivo di 1.100,34 milioni di euro.
Invece, i giudizi complessivamente favorevoli al contribuente sono pari al 28,59% per un valore complessivo di 501,03 milioni di euro.
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Inoltre, nel periodo d’imposta 2020:
- la percentuale di decisioni CTP favorevoli in tutto o in parte all’Agenzia, divenute definitive nell’anno 2020, è pari all’80,08% (e questa percentuale nell’anno 2017 è pari al 75,9%, nell’anno 2018 è pari al 77,3%, nell’anno 2019 è pari al 79,7%);
- invece, la percentuale di decisioni relative ai tre gradi di giudizio, favorevoli in tutto o in parte all’Agenzia, divenute definitive nell’anno, è pari al 75,4% (e questa percentuale nell’anno 2017 è pari al 72,1%, nell’anno 2018 è pari al 73%, nell’anno 2019 è pari al 75,1%).
Queste percentuali largamente favorevoli all’Agenzia delle Entrate dimostrano non la scarsa preparazione dei difensori dei contribuenti ma la difficoltà processuale di potersi difendere “ad armi pari”, con i forti limiti difensivi imposti dalla legge nonché dalla scarsa preparazione specialista degli attuali giudici tributari.
Oltretutto, non bisogna dimenticare che il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha avuto modo di segnalare, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021, l’altissima percentuale di pronunce di annullamento del 47% della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nettamente superiore a quella delle altre Sezioni civili, nonostante la serialità di molte cause tributarie.
E la stessa denuncia viene sempre fatta in occasione delle aperture degli anni giudiziari degli anni scorsi.
A tal proposito, basta citare l’ultima sentenza della Corte di Cassazione n. 3080/21, depositata il 09/02/2021, dove i giudici di legittimità “bacchettano” i giudici fiscali perché, in caso di accoglimento parziale, non fanno il calcolo dei tributi, lasciando l’incombente agli uffici fiscali (si rinvia all’interessante e condivisibile articolo di Ivan Cimmarusti, in “Il Sole 24 Ore” di lunedì 04 ottobre 2021).
Infatti, con la succitata sentenza, la Cassazione ha stabilito quanto segue: “Pertanto, come chiarito da Cass., sez. 5, 21/07/2010, n. 17072, quando il giudice ravvisa "l'infondatezza parziale della pretesa dell'amministrazione, non deve, ne' può limitarsi ad annullare l'atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal petitum delle parti", in modo da dare "alla pretesa dell'amministrazione un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parti contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli articoli 115 e 116 c.p.c., (...) in tal modo determinando il reddito effettivo del contribuente, e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l'esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria" (Cass., sez. 5, 28/01/2008, n. 1852), e senza che ciò costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo consentita al giudice tributario, in un giudizio che non è solo "sull'atto", da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l'atto impositivo.
Nella specie, la Commissione regionale, pur riconoscendo la necessità di ricalcolare il reddito presunto tenendo conto dei beni effettivamente in possesso del contribuente nella minore quota del 50 per cento, ha totalmente annullato gli atti impositivi, rimettendo all'Amministrazione finanziaria l'attività di rideterminazione dell'ammontare del reddito imponibile.”
L’On. Antonio Leone, Presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, per tentare di difendere i giudici tributari fa riferimento al rapporto percentuale tra le cause iscritte a ruolo in primo grado e quelle che arrivano in Cassazione.
Invece, se consideriamo, come rilevato in precedenza, che quasi il 50% delle cause iscritte in primo grado non supera il valore di euro 3.000, è chiaro ed è evidente che il numero di cause tributarie in percentuale che arrivano in Cassazione ne risente sensibilmente, perché è difficile che una causa “bagatellare” giunga in Cassazione, se non altro per evitare i costi della difesa che deve essere portata avanti da un avvocato cassazionista.
Tanto è vero che, nella relazione MEF sul contenzioso tributario dell’anno 2020, si afferma, a pag. 49, che i ricorsi iscritti in Cassazione nell’anno 2020 di valore inferiore a 3.000 euro rappresentano soltanto il 5,7% del totale delle cause tributarie. Infine, si dice sempre che la giustizia tributaria è veloce. Ciò non è vero perché ci sono cause fiscali che durano dieci o venti anni, tra primo grado, appello e Cassazione, con rinvio e nuovo appello.
In ogni caso, la velocità non determina mai la qualità delle sentenze, come rilevato dal Primo Presidente della Corte di Cassazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021. Il contribuente non vuole avere una sentenza veloce ma giusta e corretta, qualunque sia l’esito.
I PROGETTI DI LEGGE OGGI IN PARLAMENTO
In Parlamento, attualmente, sono presenti i seguenti progetti di legge (Totale: 15):
SENATO DELLA REPUBBLICA - DISEGNI DI LEGGE (n. 8)
(assegnati alle Commissioni Seconda e Sesta)
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n. 243 Vitali;
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n. 714 Caliendo ed altri;
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n. 759 Nannicini ed altri;
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n. 1243 Romeo ed altri;
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n. 1661 Fenu ed altri;
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n. 1687 Marino;
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n. 2438 Naccarato;
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n. 988 Pagliari.
CAMERA DEI DEPUTATI - Proposte di legge (n. 7)
(assegnate alla Commissione Seconda Giustizia)
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n. 1521 Martinciglio ed altri;
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n. 1526 Centemero ed altri;
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n. 840 Savino;
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n. 2283 Colletti – Visconi;
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n. 2526 Del Basso – De Caro;
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n. 1755 Bortolozzi;
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n. 3734 Ermini ed altri.
Tutti i suddetti progetti di legge, ad alcuni dei quali ho partecipato alla stesura, prevedono una giustizia tributaria professionale, qualificata, a tempo pieno, con l’assunzione per concorso pubblico, scritto ed orale, anche tenendo conto delle esperienze europee, soprattutto in Germania.
In linea di massima, le ipotesi di riforma della giustizia tributaria possono sintetizzarsi in tre categorie:
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AUTONOMISTA, con la giustizia tributaria organizzata e gestita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, secondo me da accogliere positivamente;
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UNITARIA, con l’organizzazione e la gestione al Ministero della Giustizia, con le sezioni specializzate presso i Tribunali e le Corti di Appello; secondo me, questa soluzione affosserebbe ancora di più la giustizia ordinaria, nonostante le modifiche processuali appena approvate;
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GIUSCONTABILISTA, con assegnazione alla Corte dei Conti; questa soluzione, avversata da tutti, oltre a limitare a due i gradi di giudizio, rispetto ai tre attuali, nonché a limitare i difensori abilitati, creerebbe un assurdo conflitto di interessi, in quanto i giudici contabili devono decidere anche sul “danno erariale”.
I COMPITI ATTRIBUITI ALLA SUCCITATA COMMISSIONE INTERMINISTERIALE MEF-GIUSTIZIA
Come scritto in precedenza, la Commissione è stata istituita dal decreto emanato dal Ministro della giustizia e dal Ministro dell’economia e delle finanze il 14 aprile 2021, con i seguenti compiti:
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di tipo ricognitivo, relativamente alla legislazione vigente ed al contenzioso pendente presso i giudici di merito ed il giudice di legittimità, ossia la Corte di Cassazione;
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di tipo propositivo, in senso ampio, in vista di “possibili misure e interventi normativi”;
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di tipo precettivo, mediante le formulazioni di disposizioni legislative che possono essere incluse “in atti del Governo e del Parlamento”.
La Commissione il 30 giugno 2021 ha depositato la Relazione finale, rispettando scrupolosamente il termine assegnato. Purtroppo, all’interno della Commissione non c’è stato un accordo unitario, per cui sono state approvate due mozioni:
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l’opzione n. 1, minoritaria, approvata dai cinque magistrati togati, sostanzialmente modifica pochissimo, lasciando inalterata la vetusta ed anacronistica definizione di “Commissioni Tributarie” ed intervenendo con piccoli accorgimenti in sede di appello (c.d. teoria conservatrice), lasciando inalterati i privilegi attuali (infatti, i giudici togati, che vanno in pensione a 70 anni, possono rimanere presso le Commissioni tributarie fino a 75 anni, occupando posti apicali);
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l’opzione n. 2, maggioritaria, approvata dagli otto componenti tra docenti universitari e professionisti, che, invece, trasforma totalmente la giustizia tributaria, con giudici professionali, a tempo pieno, specializzati, ben retribuiti, vincitori di concorso pubblico, scritto ed orale; la suddetta opzione, da accogliere positivamente, salvo alcune eccezioni di cui si dirà oltre, mira a costituire, finalmente ed opportunamente, la “QUINTA MAGISTRATURA”, oltre a quella civile, amministrativa, contabile e militare, oggi non esistente perché il ruolo unico nazionale dei componenti delle Commissioni Tributarie (art. 12, comma 4-bis, della Legge n. 44 del 2012) non costituisce un ruolo organico di incardinamento di soggetti legati da un rapporto di pubblica dipendenza, ma solo un ruolo di natura funzionale, come opportunamente rilevato dalla Commissione.
Quindi, oggi, non si può fare alcun confronto con le altre magistrature (ordinaria, amministrativa, contabile e militare). A tal proposito, per contestare la specializzazione del futuro giudice tributario, suscita meraviglia e sconcerto quanto scritto nell’opzione di minoranza:
“L’idea di costituire un giudice specializzato professionale infine potrebbe comportare la ghettizzazione della produzione giurisprudenziale sulla materia, l’autoreferenzialità, la separatezza corporativa, amplificando gli effetti di un assetto giurisdizionale frastagliato come quello italiano, che non ha certo bisogno di essere ulteriormente consolidato. A questo punto, se le suddette assurde affermazioni fossero condivisibili, non dovrebbero esserci giudici specializzati, come quello del lavoro o il Tribunale della famiglia, appena istituito con la legge delega di riforma del processo civile.
Secondo me, è da accettare positivamente l’opzione n. 2, salvo alcune eccezioni di cui oltre, e su questo piano si muove anche la condivisibile petizione su Change.org. Inoltre, con la Risoluzione del 12 ottobre 2021, la Camera ha invitato il Governo a: “prevedere, all’interno della riforma della giustizia tributaria, l’affidamento delle controversie ad un giudice speciale tributario, a tempo pieno e nominato previo concorso pubblico, valutando l'opportunità di inserire una riserva di posti in favore di tutte le professionalità attualmente impegnate nelle Commissioni tributarie”.
LA NORMA DI LEGGE DELEGA APPROVATA CON L’OPZIONE N. 2
La Commissione, con l’opzione n. 2 approvata a maggioranza, nel disegnare la nuova giustizia tributaria, ha stabilito quanto segue:
“Il Governo è delegato ad adottare, entro ….. mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto la riforma della disciplina e dell’organizzazione del processo tributario, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:
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articolazione del processo tributario in due gradi di giudizio da espletarsi in primo grado dai Tribunali tributari con sedi nei capoluoghi di provincia e in secondo grado dalle Corti di Appello tributarie con sede nei capoluoghi di regione;
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possibilità di prevedere, in presenza di esigenze di carattere organizzativo connesse al flusso e al valore medio dei procedimenti e allo scopo di garantire la massima efficienza dello svolgimento della funzione giurisdizionale, l’accorpamento di Tribunali tributari appartenenti a province tra loro confinanti situate nella stessa regione;
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possibilità di istituire sezioni staccate delle Cortei di Appello tributarie in presenza dei requisiti previsti dall’art. 1, comma 1-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545;
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mantenimento delle province autonome di Trento e Bolzano, in osservanza delle leggi e delle norme statutarie che le riguardano, degli organi giurisdizionali di primo e di secondo grado;
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affidamento dell'organizzazione e della gestione dei Tribunali tributari e delle Corti di Appello tributarie al Ministero dell’Economia e delle Finanze;
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istituzione di un ruolo di giudici tributari, reclutati, ai sensi dell'art. 97, quarto comma, e 106, primo comma, della Costituzione, mediante concorso pubblico per esami, scritti e orali, riservato a laureati in giurisprudenza, ai quali sia assicurato uno status giuridico ed economico analogo a quello dei giudici ordinari, nell'ambito di un rapporto esclusivo a tempo pieno;
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previsione di una riserva di posti nel concorso per esami previsto alla lettera f) per i giudici tributari in servizio, laureati in materie giuridiche o economiche, che abbiano svolto per almeno 6 anni funzione di giudice tributario presso le commissioni tributarie, con assegnazione ai Tribunali tributari;
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individuazione delle modalità degli esami di concorso, i quali, articolati in prove scritte e orali, dovranno essere finalizzati a verificare la conoscenza del diritto tributario, del diritto civile e commerciale, del diritto amministrativo, del diritto processuale civile e tributario, del diritto dell'Unione europea, dell'economia aziendale e di una lingua a scelta del candidato tra inglese, francese, spagnolo e tedesco;
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previsione della facoltà per i giudici ordinari, amministrativi e contabili, con qualifica almeno equivalente a quella prevista per i magistrati delle Corti di Appello tributarie e che abbiano svolto per almeno 4 anni funzioni di giudice tributario onorario presso le commissioni tributarie di optare entro un determinato termine, previa procedura di selezione, per il passaggio definitivo nei ruoli della magistratura tributaria con assegnazione alle Corti di Appello tributarie;
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previsione, in via transitoria, della facoltà per i giudici ordinari, amministrativi e contabili, con qualifica almeno equivalente a quella prevista per i magistrati delle Corti di Appello tributarie e che abbiano svolto per almeno 4 anni funzioni di giudice tributario onorario presso le Commissioni tributarie, di essere collocati fuori ruolo per prestare servizio a tempo pieno nei ruoli della magistratura tributaria per almeno 4 anni con assegnazione alle Corti di Appello tributarie e con conservazione della progressione di carriera secondo la disciplina dei rispettivi ordinamenti di provenienza;
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previsione che le liti minori, intendendosi per tali le liti di valore determinabile non superiore ai 3.000 euro, che non appaiano collegate a liti di valore maggiore o indeterminabile alle quali potrebbero essere riunite per connessione, siano decise in primo grado da un giudice onorario monocratico, con esclusione di quelli già appartenenti ad altra magistratura, senza che ciò dia luogo ad una questione di competenza;
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rideterminazione, in ragione di quanto previsto alle lettere f), g), i), j) e k) e tenendo conto della necessaria gradualità di immissione in ruolo dei nuovi giudici, degli organici dei giudici tributari in numero inferiore rispetto a quello dei componenti delle commissioni tributarie previste dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n, 545, con determinazione del numero delle sezioni di ogni Tribunale tributario e di ogni Corte di Appello tributaria in base al flusso e al valore medio dei procedimenti e alla composizione dei collegi giudicanti in tre membri, con facoltà di incrementare il numero dei giudici fuori ruolo delle diverse magistrature allo scopo di consentire il completamento degli organici a tempo pieno per i giudici delle Corti di appello tributarie, in conformità a quanto previsto alla lettera j);
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individuazione, avendo a riferimento principi e regole previsti per i giudici ordinari, in quanto compatibili, delle modalità di nomina a magistrato tributario, delle regole disciplinanti il tirocinio dei nuovi giudici nei Tribunali tributari, del tempo minimo di servizio presso i Tribunali tributari e le Corti di Appello tributarie ai fini degli avanzamenti di carriera, dell'accesso alle funzioni e ai ruoli direttivi, delle cause di incompatibilità, della vigilanza, delle sanzioni disciplinari e del relativo procedimento;
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previsione che i nuovi giudici siano inizialmente impiegati nei Tribunali tributari in collegi a composizione mista con gli attuali giudici onorari;
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riforma dell'ordinamento del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, la cui composizione e le cui funzioni debbono essere disciplinate in modo analogo a quelle del Consiglio Superiore della Magistratura;
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definizione da parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria dei criteri di produttività del giudice tributario, che tengano conto anche del rispetto dei termini per il deposito dei provvedimenti, della partecipazione all'attività formativa e della percentuale di impugnazioni delle decisioni emesse rispetto alla media dell'ufficio;
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attribuzione ai Presidenti dei Tribunali tributari e delle Corti di Appello tributarie del potere di assegnazione ai giudici tributari degli obiettivi da raggiungere nell'anno solare, in base ai criteri di cui alla lettera p), fissati con delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria;
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rideterminazione delle indennità fissa e variabile spettanti ai giudici onorari in funzione dell'esercizio dell'attività come giudice monocratico o componente del collegio, anche sulla base della produttività individuale di cui alla lettera p);
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riduzione, purché la scelta risulti compatibile con l'efficiente funzionamento degli organi di giurisdizione, dell'età pensionabile dei giudici onorari a 70 anni;
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previsione dell'obbligo di formazione continua, attraverso la partecipazione ai corsi organizzati dal Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, per tutti i giudici tributari;
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nel rispetto dell'articolo 102, secondo Comma, e dell'articolo 108, primo comma, della Costituzione, istituzione di una sezione ordinaria specializzata tributaria della Corte di Cassazione, composta, in prevalenza, da magistrati della stessa Corte, ai quali spetta anche la presidenza e, per il resto, da giudici tributari, laureati in giurisprudenza e reclutati secondo le modalità di cui alle precedenti lettere f) e i), che abbiano maturato adeguata anzianità di servizio nelle Corti di Appello tributarie e che siano valutati idonei dal Consiglio Superiore della Magistratura;
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istituzione, sia presso i Tribunali tributari sia presso le Corti di Appello tributarie, di un Ufficio per il processo, la cui composizione e il cui funzionamento devono essere disciplinati applicando le norme previste per i Tribunali e Corti di Appello civili, in quanto compatibili.”
In linea di massima, i suddetti corretti principi sono stati esposti anche nel progetto di legge delega per la riforma dell’ordinamento del processo tributario, approvato il 13.11.2019 dall’Istituto per il Governo Societario (I.G.S.) con la Commissione di Studio di cui ho avuto l’onore di far parte.
I costi necessari per reclutare (in ipotesi) 500 nuovi giudici tributari a tempo pieno non sono di molto superiori ai costi che oggi si sostengono per 2792 giudici onorari (circa 17 milioni e mezzo all’anno) e che, in ogni caso, un eventuale aggravio è senz’altro ponderato con il miglioramento di un fondamentale servizio di giustizia.
Infine, La Commissione, a seguito della modifica strutturale della giustizia tributaria, interviene anche su importanti e delicati istituti processuali, quali il contraddittorio, l’autotutela, la conciliazione giudiziale, gli atti illegittimi e, finalmente, la possibilità di utilizzare la testimonianza scritta (art. 257-bis c.p.c.), in modo che il contribuente possa difendersi ad “armi pari” contro il fisco (rinvio all’interessante e condivisibile articolo di Andrea Bongi, in Italia Oggi di venerdì 08 ottobre 2021). Oltretutto, non bisogna dimenticare che, prima dell’art. 30, comma 1, lett. d), della legge delega n. 413 del 30/12/1991, la testimonianza nel processo tributario era consentita.
Secondo me, le uniche modifiche da apportare all’opzione n. 2 riguardano:
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la possibilità di affidare la gestione e l’organizzazione della giustizia tributaria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non più al MEF;
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una volta ristrutturata la giustizia tributaria, con giudici professionali e a tempo pieno, affidare la mediazione (art. 17-bis D.Lgs. n. 546/92) non più all’Agenzia delle Entrate ma ai nuovi competenti giudici tributari, al limite a composizione monocratica.
Infine, la ristrutturata giurisdizione tributaria potrebbe essere competente anche su tutte le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata, oggi di competenza del giudice civile (artt. 615 e 617 c.p.c.), con le duplicazioni e le problematiche in parte risolte dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con le sentenze nn. 4845 e 4846 del 23-02-2021.
LE CAUSE PENDENTI PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE
Ricorsi pendenti in Cassazione divisi per fasce di valore relative solo all’imposta contestata
Fasce di valore art. 12 D.Lgs. n. 546 del 1992 |
CORTE DI CASSAZIONE |
% |
Fino a 20 euro (valore indeterminato) |
7.020 |
13,45% |
Da 20,01 a 5.000,00 euro |
2.753 |
5,28% |
Da 5.000,01 a 51.645,68 |
16.624 |
31,86% |
Da 51.645,69 a 100.000,00 euro |
6.940 |
13,30% |
Da 100.000,01 a 249.999,99 euro |
7.661 |
14,68% |
Da 250.000,00 a 500.000,00 euro |
4.082 |
7,82% |
Da 500.000,01 a 2.000.000,00 euro |
4.674 |
8,96% |
Oltre 2.000.000,00 euro |
2.425 |
4,65% |
Totale |
52.179 |
100,00% |
Non esiste al mondo alcun altro giudice delle liti tributarie che abbia un arretrato anche solo lontanamente paragonabile ai più di 52.000 ricorsi pendenti. Oltre un decimo dei suddetti ricorsi riguarda le liti intraprese da oltre 10 anni e questo è un segno tangibile di denegata giustizia e fa crollare il mito di una giustizia tributaria veloce.
Come richiesto dal PNRR, è opportuna anche una definizione agevolata di tutte le controversie pendenti in Cassazione, logicamente senza utilizzare istituti che potrebbero seriamente compromettere il diritto di difesa del contribuente, come, per esempio, la presentazione di un’istanza di trattazione (come era previsto dall’art. 44 D.P.R. n. 636/72), pena l’estinzione dell’intero processo (art. 63, secondo comma, D.Lgs. n. 546/1992), con il rischio di rendere definitivo l’atto impugnato.
Infine, per rendere appetibile la definizione agevolata, nel computo dell’importo da pagare bisogna detrarre quanto già pagato in sede provvisoria e disporre, eventualmente, anche il rimborso dell’eccedenza.
CONCLUSIONE
Negli ultimi mesi, sono state avviate le ben più impegnative riforme del processo civile, con l’istituzione del nuovo Tribunale della famiglia, e del processo penale “ma non si riesce a riformare il processo tributario; sarebbe ancor più interessante conoscere chi sia interessato affinchè la giustizia tributaria continui a essere amministrata e gestita secondo le vigenti regole sulla cui inidoneità (almeno apparentemente) sono tutti d’accordo (così l’interessante e condivisibile articolo di Antonio Iorio, in “Il Sole 24 Ore” di venerdì 08 ottobre 2021).
Ormai, la riforma della giustizia tributaria è arrivata ad un bivio tra chi vuol lasciare le cose come stanno, mortificando ancor di più il diritto di difesa del contribuente, e chi, invece, molto opportunamente vuole cambiare tutto, auspicando una vera giustizia tributaria, indipendente e professionale.
Pertanto, in questo particolare e delicato momento storico, si devono evitare false notizie, ipocrisie, disinteresse, timidezza, piaggeria, mancanza di fiducia, critiche generiche, sospetti, sudditanza psicologica, scetticismo e tentennamenti, e tutti i contribuenti, i professionisti, gli Ordini e le Associazioni devono agire con decisione, coraggio e fiducia per avere una nuova giustizia tributaria.
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