Autotutela nel diritto tributario
Occorre precisare che, la stessa si configura come potere di annullamento, ma anche di revoca e di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento fino a comprendere anche il potere di sospendere gli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato.
Ebbene, la prima ipotesi ricorre allorquando l'Amministrazione, riscontrando vizi di legittimità dell'atto emanato ovvero l’illegittimità di quest’ultimo derivante da illegittimità del procedimento o di suoi precedenti atti, lo annulla con efficacia ex tunc; mentre, la seconda ipotesi ricorre allorquando l'Amministrazione, ritenendo mutati i presupposti di fatto o di diritto su cui si è fondato il provvedimento oggetto di riesame, esercita il potere di revoca, con efficacia ex nunc nel caso in cui l’atto da annullare sia di carattere generale o favorevole al contribuente e con efficacia ex tunc, invece, se l’atto è sfavorevole al contribuente.
Da ultimo, il potere di rinuncia all’imposizione, invece, viene esercitato in considerazione di criteri di economicità relativi ed assoluti, definiti dal rapporto tra l’esiguità delle pretese tributarie ed i costi amministrativi connessi alla difesa delle pretese stesse ovvero sulla base del criterio della probabilità della soccombenza e della conseguente condanna al rimborso delle spese di giudizio. Nello specifico, tali iniziative possono essere adottate dall’Amministrazione indipendentemente dal fatto che gli atti siano divenuti definitivi, sia stato presentato ricorso a suo tempo respinto per motivi diversi dal merito, vi sia pendenza di giudizio, ovvero non sia stata prodotta alcuna istanza di parte.
Ciò vuol dire, che l'autotutela si manifesta nella possibilità di porre rimedio ad errori commessi (sia di diritto che di fatto) laddove è utile ad evitare che la contestazione sia portata per la prima volta dal contribuente davanti agli organi del contenzioso tributario, e se attivata mira ad evitare che si protragga.
Ciò detto, gli atti sui quali gli uffici possono esercitare il potere di autotutela, sono in linea di massima, quelli espressamente elencati dall’art. 19, c. 1, del Dlgs 31.12.1992, n. 546, cioè gli atti accertativi, quelli esecutivi, i dinieghi o i mancati rimborsi contro i quali sarebbe stato ammissibile il ricorso del contribuente in commissione tributaria.
Altresì, per quel che concerne le ipotesi in cui è possibile attivare l’autotutela, bisogna riferirsi a quanto espresso dall’art. 2, c. 1 del D.M. 11.2.1997, n. 37:
Ø errore di persona;
Ø evidente errore logico o di calcolo;
Ø errore sul presupposto dell’imposta;
Ø doppia imposizione;
Ø mancata considerazione di pagamenti d’imposta, regolarmente eseguiti;
Ø mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;
Ø sussistenza di requisiti per usufruire di deduzioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
Ø errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’amministrazione.
Va detto però, che non è suscettibile di annullamento o rinuncia all’imposizione l’atto sul quale sia intervenuta una sentenza passata in giudicato a favore dell’amministrazione e per i motivi addotti dal giudice adito.
Attenzione però, il giudicato in rito basato su ragioni processuali ovvero irricevibilità, difetto di giurisdizione, incompetenza, ed inammissibilità ad esempio, non limita l' autotutela. Pertanto, è necessario che il giudicato abbia per oggetto valutazioni di merito.
Anche qui però, va precisato che per l'esercizio dell'autotutela è possibile tenere conto di motivi di merito diversi da quelli presi in considerazione nella pronuncia della Commissione tributaria favorevoli all'erario ossia degli stessi motivi dedotti con il ricorso introduttivo ma non esaminati dalla Commissione stessa, giacchè il giudicato sulla decisione di rigetto non si traduce nella dichiarazione incontrovertibile di legittimità dell'atto impositivo. Ciò significa che, soltanto il giudicato di merito e solo per i motivi decisi con sentenza definitiva rappresenta un limite invalicabile all'esercizio dell'autotutela. Altresì, altro limite al potere di autotutela, è ravvisabile nel caso di prescrizione del diritto al rimborso.
Ed allora, riassumendo, l’autotutela si potrà sempre proporre:
Ø quando il giudicato è solo formale (ad esempio, la sentenza ha deciso soltanto sul rito: inammissibilità, improcedibilità, ecc.);
Ø quando il giudicato è di merito ma parziale (la sentenza ha deciso su più punti, ma alcuni vengono impugnati), per le parti non ancora in giudicato;
Ø quando se pur il giudicato di merito è totale, l'istanza di autotutela è relativa a motivi di illegittimità del tutto differenti da quelli oggetto della sentenza che, pertanto, sono stati esaminati e respinti dai giudici.
Peraltro, qualsiasi atto viziato è annullabile senza limiti di tempo, e deve essere annullato anche se il contribuente non ha presentato istanza di annullamento o non ha fatto ricorso; oppure l’atto è diventato definitivo per il decorso dei termini per ricorrere; ed ancora, il ricorso è respinto con sentenza passata in giudicato per motivi di forma; infine, vi è pendenza di giudizio (sul punto Cass. n. 16897/03 secondo cui in tal caso si verifica un’ipotesi di cessazione della materia del contendere ex art. 46, D. Lgs. 31.12.1992, n. 546).
A questo punto, val la pena rammentare, quali sono le norme con cui si inquadra l’istituto. L’autotutela, dapprima, è stata disciplinata dall’art. 68, co. 196 del D.P.R. 287/1992, secondo cui: «Salvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell’amministrazione finanziaria possono procedere all’annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato, comunicato al destinatario dell’atto». Di poi, il Legislatore è intervenuto a integrare la disciplina con la legge 656/1994, di conversione del D.L. 564/1994, recante l’art. 2-quater, dal titolo «Autotutela».
Ebbene, in attuazione del citato art. 2-quater, è stato emanato il D.M. 11.2.1997, n. 37, recante disposizioni di natura regolamentare relative all’esercizio dell’autotutela (casi, presupposti, organi competenti).
Ed infine, l’art. 11, D.Lgs. 24.9.2015, n. 159 è intervenuto sull’art. 2-quater, D.L. 30.9.1994, n. 564, conv. con modif. dalla L. 30.11.1994, n. 656, consentendo di usufruire delle sanzioni ridotte qualora vi sia annullamento o revoca parziale dell’atto di accertamento, alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto, purché rinunci al ricorso.
Ed allora esaminiamo, chi è competente ad istruire il procedimento di autotutela e ad emettere il provvedimento finale, laddove l’art. 1 del D.M. n. 37/97 regolamento del ’97, così stabilisce: <
Ciò vuol dire che, il potere di annullamento è conferito alla stessa autorità procedente in primo grado, secondo i principi generali in materia di autotutela amministrativa spontanea, fatta salva comunque la possibilità per la Direzione regionale (o compartimentale) delle Entrate di sostituirsi all’ufficio in situazioni di grave inerzia. Ed infatti, tale potere sostitutivo si giustifica in base alla posizione gerarchicamente sovraordinata degli organi direttivi, che consente loro di porre in essere, in presenza di talune circostanze, provvedimenti rientranti nella sfera di competenza degli uffici sott’ordinati.
Ed ancora, è necessario individuare il c.d. responsabile del procedimento, ovvero "l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale" (artt. 2 e 4 L. n. 241/90), nell’ambito, poi, della struttura competente ad esercitare il potere di autotutela. Tale figura riveste particolare importanza nell’ambito dell’attività amministrativa, giacchè ha il compito non solo di seguire e sovrintendere l’intera procedura, di coordinare e curare le attività istruttorie, ma anche di interloquire con i privati interessati, rappresentando il loro punto di riferimento durante lo svolgimento della stessa. Peraltro, il responsabile del procedimento di autotutela potrà, dunque, subire una condanna al risarcimento del danno erariale, sia quando lo produca direttamente a carico dell’Amministrazione, sia quando quest’ultima lo subisca indirettamente trovandosi costretta a ristorare il pregiudizio arrecato al contribuente.
A questo punto, va detto che tra i modi di attivazione dell’autotutela, rientra principalmente, quello di attivazione ad istanza del contribuente di cui all’art. 2, c. 1, L. n. 241/1990 laddove è sufficiente trasmettere all’Ufficio competente una semplice domanda in carta libera, contenente un’esposizione sintetica dei fatti, corredata dalla documentazione utile a comprovare le tesi sostenute, l’atto di cui si chiede l’annullamento e i motivi che fanno ritenere tale atto illegittimo e, di conseguenza, annullabile in tutto o in parte. Se l'ufficio non risponde, il contribuente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, c. 1, del DM n. 37/97, può rivolgersi alla competente direzione regionale, che, se ritiene sussista una "grave inerzia" dell'Ufficio, può sostituirlo nel procedere all'annullamento dell'atto illegittimo.
Attenzione però, la richiesta del contribuente è meramente sollecitatoria, ragion per cui non fa sorgere alcun obbligo per l’Ufficio (Circolare Direzione delle Entrate di Trento 8.7.1997, n. 195/E; Cass., del 26 Gennaio 2007, n. 1710).
Caso diverso, invece, è quello in cui l’avvio dell’autotutela venga attivata direttamente dall’Ufficio, ovvero senza istanza del contribuente. Le ipotesi, in genere, sono quelle già esposte sopra di cui all’art. 2, c. 1, del D.M. n. 37/97.
Altra fattispecie ancora, è quella che prevede l’intervento del Garante del contribuente, che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13, c. 6, della L. n. 212/00, può agire sia di propria iniziativa che sollecitato dallo stesso contribuente.
Orbene, esposti i tratti salienti della disciplina in oggetto, si possono esaminare quelli che sono i dubbi e i contrasti interpretativi giurisprudenziali relativamente a ciò che accade se l’Ufficio non risponde e se l’Ufficio si pronuncia con un diniego nei confronti dell’istanza presentata dal contribuente.
Ed allora, come detto sopra, secondo l'orientamento prevalente, l'istanza del contribuente non determina, per l’Amministrazione Finanziaria, alcun obbligo giuridico di provvedere e, tanto meno, di provvedere nel senso prospettato dal contribuente stesso. La richiesta del contribuente, pertanto si torna a ripetere, è meramente sollecitatoria. (Circ., Min. 8 luglio 1997, n. 195/E; Cass., SU, del 27 marzo 2007, n. 7388; Cass., del 26 Gennaio 2007, n. 1710; Cons. Stato, sent. 7 gennaio 2014, n. 12). Tuttavia, per motivi di opportunità e di trasparenza, nonché di necessaria correttezza nei confronti dei contribuenti, gli uffici sono stati esortati, anche nelle ipotesi di non accoglimento delle istanze di parte per l'accertata insussistenza delle ragioni addotte, a comunicare agli interessati l'esito dell'intervenuto riesame dell'atto contestato, enunciando, anche succintamente, i motivi del rigetto.
Sull’argomento, è recentissima la pronuncia della Corte Costituzionale del 13.7.2017, n. 181 che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale avanzate nei confronti degli artt. 2-quater, co. 1, D.L. 564/1994, conv. con modif. dalla L. 656/1994 e dell’art. 19, co. 1, D.Lgs. 546/1992, rispetto agli artt. 3, 23, 24, 53, 97 e 113 Cost.. In sostanza, in ordine al carattere non doveroso dell'autotutela tributaria, la ricostruzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione è corretta: «Non esiste un dovere dell'amministrazione di pronunciarsi sull'istanza di autotutela e, mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento, né, d'altro canto, il silenzio stesso può essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo qualifichi giuridicamente (Cass. sezioni unite civili, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388; Cass. sezione quinta civile, sentenza 9 ottobre 2000, n. 13412), con la conseguenza che il silenzio dell'amministrazione finanziaria sull'istanza di autotutela non è contestabile davanti ad alcun giudice».
Tale situazione non determina, comunque, un «vuoto di tutela» costituzionalmente illegittimo, come lamentato dal giudice a quo. «L'annullamento d'ufficio non ha funzione giustiziale, costituisce espressione di amministrazione attiva e comporta di regola valutazioni discrezionali, non esaurendosi il potere dell'autorità che lo adotta unicamente nella verifica della legittimità dell'atto e nel suo doveroso annullamento se ne riscontra l'illegittimità».
In ogni caso, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, l'autotutela tributaria costituisce un potere esercitabile d'ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente (ex multis, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 15 aprile 2016, n. 7511; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 20 novembre 2015, n. 23765; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 12 novembre 2014, n. 24058; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 30 giugno 2010, n. 15451; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 12 maggio 2010, n. 11457; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 9 luglio 2009, n. 16097; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388; Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 5 febbraio 2002, n. 1547; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 4 ottobre 1996, n. 8685). Il privato può naturalmente sollecitarne l'esercizio, segnalando l'illegittimità degli atti impositivi, ma la segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso.
Ciò posto, altro aspetto su cui soffermare l’attenzione, è quello relativo al diniego dell'Amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela laddove il senso su cui la Corte sta ormai orientando in maniera consolidata il suo indirizzo è che, contro il diniego può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria. Diversamente, attraverso l’impugnazione del diniego di esercizio di autotutela si consentirebbe l'aggiramento del termine di decadenza previsto, a garanzia del principio di certezza del diritto e di tendenziale stabilità dei rapporti giuridici, per la impugnazione degli atti impositivi, che rimarrebbero quindi esposti a riesame a tempo indeterminato tutte le volte che il contribuente, pur divenuto definitivo l'avviso di accertamento o rettifica, presenti istanza di revisione in autotutela e ritenga di impugnare il provvedimento espresso o tacito non satisfattivo del proprio interesse rivolto alla rimozione dell'atto impositivo definitivo.
Ciò posto il contribuente dovrebbe prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto, qualora richieda il ritiro in autotutela di un atto impositivo divenuto definitivo, non potendo limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, o in alternativa prospettare degli errori di calcolo o di imposta commessi dall’Ufficio.
Peraltro, la Corte Suprema, con la sentenza 2870/2009, a Sezioni Unite, ha stabilito che: «È inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo (nella specie, per l’intervenuto giudicato formatosi sulla decisione di reiezione del ricorso davanti alla commissione tributaria provinciale), in conseguenza sia della discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela quanto dell’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività».
Nello stesso senso la Ordinanza, Cass. 10020/2012, secondo cui contro il diniego dell’Amministrazione finanziaria di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre profili di illegittimità del diniego stesso e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria divenuta definitiva.
Di poi, la Corte di Cassazione nella sentenza 20 novembre 2015, n. 23765 laddove la verifica da parte del giudice tributario deve riguardare, ancor prima dell’esistenza dell’obbligazione tributaria, il corretto esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, nei limiti e nei modi in cui esso è suscettibile di controllo giurisdizionale.
Da ultimo, interessante, Cass. sentenza n. 7511 del 15.04.2016, che in tema di impugnazione del diniego di autotutela nel processo tributario, ha espresso alcune considerazioni in parte difformi rispetto al precedente orientamento. Ed allora, da una parte, la Corte richiamava quanto affermato da Cass., Sez. U, n. 3698 del 16/02/2009, secondo cui «in tema di contenzioso tributario, l'atto con il quale l'Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l'attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo». Dall’altra parte, però, altra giurisprudenza, successiva alla sentenza richiamata, ha ritenuto impugnabile l'annullamento parziale, adottato nell'esercizio del potere di autotutela, di un avviso impositivo già definitivo, trattandosi di un atto contenente la manifestazione di una compiuta e definitiva pretesa tributaria, rispetto a cui, pur se riduttivo dell'originaria pretesa, non può privarsi il contribuente della possibilità di difesa (Cass., Sez. 5, n. 14243 del 08/07/2015). Tale precedente, secondo la Corte però, non offre argomenti convincenti, giacchè trattasi nel caso di specie di annullamento parziale, o comunque di provvedimento di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa impositiva contenuta negli atti divenuti definitivi, e che in definitiva non poteva comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento. In conclusione, per i supremi giudici, soltanto se il nuovo atto fosse stato di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa, sarebbe stato possibile ammetterne una autonoma impugnabilità. (si veda Cass., sentenza n. 22253 del 30.10.2015).
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