Certificazione di genere: finalmente un passo avanti contro il gender pay gap

La certificazione di parità di genere, che è disciplinata anche dalla Legge di Bilancio 2022, rappresenta infatti una delle principali previsioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il pacchetto di riforme e investimenti con cui rilanciare il Paese
La nuova legge 162/2021 prevede che le aziende virtuose, che possano cioè dimostrare politiche inclusive e non discriminatorie, potranno richiedere una certificazione di parità.
Si tratta di un riconoscimento formale che sarà rilasciato a quelle imprese che dimostreranno di aver costruito un’effettiva parità tra uomini e donne: dice testualmente questa legge che la certificazione attesterà le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità
Alle organizzazione che avranno raggiunto la certificazione di parita saranno garantiti alcuni benefici:.
1. Esonero del versamento dei contributi previdenziali dei lavoratori nel limite dell’1 per cento e fino a un massimo di 50mila euro l’anno ciascuna.
2. La certificazione della parità sarà elemento premiale in tutti gli appalti pubblici.
La certificazione aiuterà le imprese nella progettazione di politiche che investono in lavoro femminile. È uno strumento che rende concreto il principio secondo cui l’investimento nel talento femminile è conveniente per il Paese ed è conveniente per il tessuto imprenditoriale».
«I gap di genere sono una terribile ingiustizia. Ormai sappiamo che superarli è interesse dell’intero Paese: la Banca d’Italia stima che se l’occupazione femminile raggiungesse il valore del 60 per cento (oggi è al 50,5 per cento, dati Istat, ndr ), il Pil crescerebbe di 7 punti. Non è davvero più ammissibile che le donne siano il 58 per cento di quanti si laureano, ma solo il 28 per cento di quanti nelle imprese occupano posizioni manageriali o che l’Italia, Paese del G7, conti un tasso di occupazione femminile inferiore del 18 per cento a quello maschile.
Questa legge vuole colmare i gap, andando oltre i bonus e il sostegno al Welfare aziendale: punta a liberare il lavoro femminile in maniera specifica, a innescare un salto culturale attraverso incentivi economici che premino le aziende che decidono di seguire questa strada».
«Per dimostrare di aver costruito un’effettiva parità di genere e quindi concorrere all’assegnazione della certificazione, le aziende dovranno redigere un rapporto specifico biennale sulla situazione del personale maschile e femminile costruito sulla base di parametri prestabiliti e metriche oggettive. Insomma, a meno di redigere un rapporto non veritiero – cosa che, peraltro, è punita con una sanzione amministrativa -, tale resoconto darà la misura effettiva delle azioni fatte per essere un’azienda equa».
Il rapporto dovrà contenere una serie di dati: il numero dei lavoratori occupati di sesso maschile e di sesso femmine, quelli assunti nel corso dell’anno, l’inquadramento contrattuale e la funzione svolta, le differenze tra le retribuzioni iniziali dei lavoratori di ciascun sesso, le retribuzioni complessive, comprensive dunque di indennità, bonus e ogni altra erogazione (i dati non devono indicare l’identità dei lavoratori, ma esclusivamente il sesso).
Le aziende hanno anche l’obbligo di inserire, tra gli altri, dati sui processi di selezione in fase di assunzione, sui criteri adottati per le progressioni di carriera, sulle misure adottate per promuovere la conciliazione dei tempi di lavoro e di vita e per assicurare un ambiente di lavoro inclusivo.
Aver redatto il rapporto sul personale è la condizione per aspirare alla certificazione di parità che, ricordiamo, resta per le aziende un atto volontario.
Redigere il rapporto ai sensi dell’art. 46 del D.lgs 11 aprile 2006, modificato con decreto ministeriale del 29 marzo 2022, invece, è in ogni caso obbligatorio per tutte le imprese che hanno più di 50 dipendenti, mentre quelle con meno di 50 addetti dovranno compilare il rapporto solo se vorranno ottenere la certificazione di parità.
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