Responsabilità del socio dopo estinzione della società
Con la sentenza del 5 novembre 2021 n. 31904 la Cassazione si è pronunciata nuovamente in merito alla responsabilità dei soci di società di capitali dopo la cancellazione della società.
Per effetto dell’art. 2495 del codice civile, estinta la società, i soci rispondono in proprio se hanno riscosso somme da bilancio finale di liquidazione. Viene confermato un orientamento che sta prendendo, negli ultimi anni, sempre più piede: il menzionato limite di responsabilità non rappresenta una condizione per la successione del socio nei rapporti sostanziali e processuali dell’ente.
Quindi, estinta la società, l’ente creditore (sia esso un’Agenzia fiscale, un Comune o un ente impositore di diversa natura) può automaticamente azionare la pretesa nei confronti del socio.
Viene ribadito che non è necessario notificare al socio l’avviso di accertamento, essendo sufficiente la notifica della cartella di pagamento.
Destituita di fondamento è la tesi secondo cui il socio, necessariamente, dovrebbe ricevere un accertamento ai sensi dell’art. 36 del DPR 602/73, posto che si tratta di una responsabilità avente titolo autonomo e di natura sostanzialmente civilistica.
L’iscrizione a ruolo può avvenire anche dopo la cancellazione della società, e può essere intestata all’ente ormai estinto oppure al socio, in quanto esso, a questi fini, è paragonato a un erede. Come accennato, il Fisco può azionare la pretesa in automatico nei confronti del socio in quanto sarà questi che, in giudizio o in fase amministrativa, dovrà dimostrare di non essere responsabile. Nella maggioranza dei casi, bisognerà dimostrare di non aver ricevuto nulla in sede di bilancio di liquidazione.
Nel punto 2.10 della sentenza viene sancito: “Se, però, il fisco ben può rivolgersi al socio successore per il recupero del credito vantato contro la società estinta, stante il suo subentro ex lege nell’obbligazione sociale, è altrettanto evidente come il creditore sia soltanto tenuto a dimostrare la fonte di detta obbligazione, seppur ripartita pro quota, ma non anche la circostanza che il socio abbia utilmente partecipato alla distribuzione di utili, perché essa costituisce il presupposto della sua responsabilità; pertanto, la sua negazione si atteggia tipicamente come fatto modificativo, impeditivo o estintivo dell’altrui pretesa, ossia come eccezione di merito, il cui onere della prova non può che gravare su colui che la solleva, ex art. 2697, comma 2, c.c.“.
In termini operativi, se c’è un debito di 100, e, estinta la società, ci sono due soci che avevano ciascuno il 50% delle quote, il Fisco può chiedere 50 ad ogni socio, semplicemente richiamando l’art. 2495 c.c. Saranno poi i soci a dover dimostrare di non aver riscosso nulla da bilancio di liquidazione, o che hanno riscosso somme per un valore inferiore a 50 producendo la documentazione contabile del caso (bilancio, prospetti di riparto...). Ove l’atteggiamento dei funzionari sarà quello comunemente in essere presso gli uffici, spesso e volentieri il socio successore dovrà adire le vie giudiziali per far sentenziare la sua carenza di responsabilità.
Una “spinta” a ciò sembra provenire dalla sentenza di ieri, laddove, sempre al punto 2.10, si afferma che la notifica della cartella prescinde dal fatto che il socio abbia riscosso utili in sede di liquidazione; “sicché la sede naturale in cui vi si può procedere deve giocoforza individuarsi nel processo tributario, il cui avvio è onere del socio-contribuente ex art. 19 d.lgs. 546 del 1992; il che vale anche a dire che, in caso di sua inerzia, la cartella di pagamento – e il ruolo presupposto – divengono inoppugnabili, così restando consacrato, in ogni caso, il credito vantato pro quota nei confronti del socio, ma già in testa alla società estinta”.
La limitazione, o l’assenza di responsabilità va dunque fatta valere impugnando tempestivamente la cartella di pagamento, pena la cristallizzazione della pretesa. Irrilevante che il ruolo sia formato in capo alla società o al socio. Ove l’accertamento in capo alla società sia ormai definitivo (in quanto inoppugnato, o confermato da sentenza passata in giudicato) il socio non potrà, precisa la Cassazione, censurare il merito.
Naturalmente, precisiamo noi, il merito potrà essere censurato laddove l’atto accertativo sia per la prima volta notificato al socio, oppure ove esso riprenda il processo intentato dalla società e dichiarato interrotto dopo la cancellazione. Se si tratta di accertamenti esecutivi (ma di questo la sentenza non parla), al socio non potrà che essere notificato l’accertamento non essendoci più il ruolo, ferma restando, secondo la tesi dei giudici, l’impossibilità di sindacare il merito. Se a ciò aggiungiamo l’art. 28 comma 4 del DLgs. 175/2014, che consente di notificare qualsiasi atto alla società estinta per i cinque anni dopo la richiesta di cancellazione, si può notare come il lavoro degli uffici venga enormemente semplificato a danno del contribuente.
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